«E lascio la strada agli altri, lascio l’andare

e agli altri un parlare che non mi assomiglia»

(Gianmaria Testa)

A volte ti chiedi perché la vita sia così ingiusta con chi avrebbe meritato di più di quanto gli sia stato riconosciuto: soprattutto con chi, messo nelle giuste condizioni, avrebbe potuto trasmetterci un’eredità molto più di grande di quella che, pur non lieve, ci ha lasciato.

Nel caso di specie, mi riferisco a Gianmaria Testa. Non sono di certo un musicologo, ma quel poco che ascolto è bastato a convincermi che quest’uomo dalla vicenda singolare, e da una carriera troppo breve, meriti di diritto di essere annoverato tra i più grandi cantautori italiani.

Gianmaria è stato ferroviere fino al 2007, ha pubblicato il suo primo album solo nel 1995, quando aveva già 37 anni, mentre il nono e ultimo album è uscito nel 2019: il fatto è che un cancro se l’era già portato via, tre anni prima, a soli 57 anni, quando, mi ripeto, aveva ancora tanto da darci.

I versi che ho citato in esergo sono tratti dalla sua canzone Il passo e l’incanto: se hai solo cinque minuti di tempo, interrompi pure questa lettura e vai ad ascoltarla. Non servirà altro.

È una sorta di inno al nostro essere homo viator, vale a dire al nostro essere viaggiatori nell’esistenza. Nasciamo un giorno in un posto, viaggiamo nel tempo, moriamo un altro giorno in un altro posto: il mare e la terra prima o poi ci piglia.

Succede ai disperati che, ciechi di egoismo, lasciamo annegare nel Mediterraneo. Succede alle nostre vite sazie che annegano nell’insoddisfazione.

Succede anche quando incrociamo chi ci affoga di parole. Oppure di silenzi.

Succede a chi parte per non ritornare, senza neanche un saluto da dimenticare.

E capita così di essere rubati dell’incanto e di non ritrovare il passo.

Alzi la mano chi non ci è mai passato. Alzi la mano chi, almeno una volta, non si è sentito naufrago nelle onde altalenanti dell’esistenza. Alzi la mano chi, guardando il mare, non si è lasciato prendere dalla nòstos-alghìa, la nostalgia, ovvero dal “mal di viaggio”, che è sempre un viaggio di ritorno, ma non sempre a casa.

Isabel Allende, in Oltre l’inverno, scrive che ci sono peccati di misericordia e che, laddove si sperimenta l’abbandono, è quell’assenza che devi perdonare.

Gianmaria canta:

Saluteremo dalla nostra finestra
il tempo che passa
e se passando ci riconoscerà
anche il tempo perduto
anche il tempo sbagliato
ci risponderà
Saluteremo dalla nostra finestra
e non sarà una canzone
che tutto il tempo finito ci ritornerà
ma saranno gli occhi

questi nostri occhi senza più parole
e un altro tempo sarà.


FonteIn copertina: "L'antro delle streghe" a Pietrapertosa (photocredits: Paolo Farina)
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

2 COMMENTI

  1. È sempre emozionante e sorprendente leggere parole che descrivono così bene ciò che proviamo,ciò che ciascuno di noi prova in tanti momenti della vita , momenti in cui ci fermiamo a riflettere sul tempo che ci è dato, su quel che è stato e quel che sarà….se ci sarà. Grazie.

    • Grazie Eleonora, alle tue emozioni aggiungo la mia, quella di sentirsi inteso in un modo così profondo da percepire come adempiuto il sogno di chiunque scriva: scrivere non solo per sé, ma per chiunque lo legga. Grazie.

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