Le ancestrali radici delle discriminazioni di genere

Eva Cantarella, storica dell’antichità e del diritto antico, racconta che la reazione di Ulisse quando ritorna ad Itaca anticipa l’esercizio della potestà punitiva statuale. “Ma – avverte l’autrice – attenzione: tra le pratiche punitive private lo stato fece proprie solo quelle riservate agli uomini. Quelle riservate alle donne rimasero confinate nelle case. Questo e solo questo era il luogo delle donne, in vita come in morte”[1].

Vendetta, giustizia, violazione del “dovere di fedeltà sessuale” [2].

Ulisse riserva la vendetta ai proci. In realtà è una carneficina che non risparmia nessuno, non conosce la pietà e nemmeno la giustizia. “La vendetta – puntualizza ancora la Cantarella – ignora colpe, atteggiamenti mentali, stati soggettivi”[3]. Ulisse stermina il “re” dei proci, Antinoo e il perfido Eurimaco, con la stessa feroce determinazione che riserva ai proci meno malvagi, come Leode o Anfinoo.

Per i dipendenti, invece, il feroce vendicatore di Itaca, usa la “stadera”. Salvezza e supplizi sono dispensati valutando le responsabilità e le giustificazioni. L’infido Melanzio, il capraio che aveva rifornito di armi i proci, viene “condannato” al supplizio del “palo”. Medonte e Femio, l’aedo stanziale che allietava il gozzovigliare dei proci, sono risparmiati. Ulisse ascolta la supplica del “giullare”: “non per mia voglia o per mia domanda venivo nella tua sala a cantare fra i pretendenti dopo il banchetto, ma loro, così numerosi e potenti, mi costringevano a farlo” [4].

È un argomento difensivo che non giova alle 12 ancelle (su 50) che, secondo l’accusa di Telemaco, hanno trasgredito il dovere di fedeltà sessuale cui erano tenute nei confronti di Ulisse, giacendo con i proci. Sono impiccate. Muoiono come tordelle che s’impigliano nella rete, tesa nella macchia, secondo la metafora omerica[5]. Se, come sostiene la Cantarella, la narrazione dell’Odissea cifra la genesi dei sistemi punitivi occidentali, il genere femminile non partecipa all’evento. Per le donne non ci sono diritto e nemmeno leggi, processi, giudici e giudizi; sono nuda vita – semplice esistenza biologica – esposta al nudo potere del dominus, a monte delle costruzioni giuridiche e politiche della civiltà occidentale, che tramutano la zoe (la nuda vita appunto) in bios (la vita nella sfera della polis) [6].

[1] E.Cantarella, Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, Feltrinelli, Milano, VI ed., 2010, p. 173

[2] E.Cantarella, op. cit., pp. 164-171.

[3] E.Cantarella, op. cit., p. 176.

[4] Odissea, 22, 344-353. Cfr. E.Cantarella, op. cit., p. 175.

[5] Odissea, 22, 344-353. Cfr. E.Cantarella, op. cit., p. 175.

[6] G. Agamben, Homo Sacer. Sovereign Power and Bare Life, trad.it, Einaudi, Torino, rist. an.,  2005., pp. 5-7.