A proposito delle recenti e molteplici pubblicazioni di Francesco di Maria
In un periodo dove sul piano politico il dialogo tra parti avverse è ancora lontano dall’avviarsi ad essere un fatto scontato, almeno il confronto aperto sulle idee è un dato che continuamente si alimenta per il loro pluralismo e per le diverse opzioni in campo; ma ancora oggi non avviene spesso che figure, ad esempio con una solida fede, si confrontino con personalità di diverso orientamento e anzi con pensatori che per tutta la loro vita hanno combattuto il sentimento religioso ed in particolar modo il Cristianesimo. Si segnala invece in tal senso Francesco di Maria, che dopo essersi confrontato in opere precedenti con il pensiero di Banfi, Husserl, Mounier, Gramsci, Martinetti, Della Volpe e Castoriadis, ha sentito il bisogno di interrogare più in profondità le rugosità della sua fede e di vagliarne il senso veritativo sino ad adottare un nome devozionale a seguito di una sua particolare esperienza di fede; di tale percorso è espressione una serie di recenti scritti, tra cui tre pubblicazioni dedicate a Maria di Nazaret Maria combattente di Dio (2018), Vangelo, democrazia e moderna Babilonia (2019) e Quale contemporaneità di Cristo? (in 2 voll. 2020).
Ma di Maria non si è limitato a questo, ma ha dato vita ad un proficuo incontro-scontro, col trarne un più adeguato profitto, con un pensiero tra l’altro fortemente incentrato su delle costanti critiche rivolte alla religione cristiana presenti nel complesso itinerario teoretico di un filosofo italiano del secondo Novecento; ne è scaturito un denso volume come Saggio sul pensiero di Giulio Preti. Un punto di vista cattolico (Roma, Stamen 2019), dove si ripercorre in profondità e con adeguato senso critico la non facile via intrapresa da questa figura che insieme a poche altre ha sottoposto a severa analisi la tradizione filosofica italiana, soprattutto quella di matrice neoidealistica, oltre a polemizzare spesso e con forti ragioni con le posizioni di certa sinistra istituzionale e non, fatto anche che lo ha portato ad essere ai margini dei dibattiti del suo tempo.
Innanzitutto di Giulio Preti (1911-1972), autore di opere non di facile lettura come Fenomenologia del valore (1942), Praxis ed empirismo (1957), Retorica e logica (1968) e di altri scritti confluiti nei Saggi filosofici apparsi postumi nel 1976, viene messa in evidenza da di Maria la non comune ‘profonda tensione etica’, elemento non secondario che lo ha spinto a confrontarsi con un pensiero frutto anche della ‘condizione di solitudine insieme filosofica ed esistenziale’ in cui venne a trovarsi; tale caratteristica viene ritenuta centrale in tale itinerario speculativo e nello stesso tempo mai disgiunta da un sistematico e costante rigore logico-analitico nelle argomentazioni dei temi affrontati. Il volume di Maria, pur con i suoi dichiarati obiettivi di uomo di fede, analizza i risultati più maturi raggiunti da Preti e ha il merito di irrobustire la non folta schiera di quei pochi studiosi italiani e stranieri, tra i quali è da annoverare il filosofo della scienza Jean Petitot, che lo hanno reso oggetto di attenzione critica per la crucialità delle problematiche affrontate e la singolarità dei punti di vista enucleati.
Situandosi con una personale prospettiva all’interno di tali contributi, in tale lavoro di Maria mette in evidenza il fatto che gli esiti del discorso di Preti sono il frutto del continuo confrontarsi da una parte con la non facile prospettiva kantiana, poi sviluppata in senso neo-trascendentale, e dall’altra con gli importanti risultati raggiunti dalla ricca letteratura epistemologica del primo Novecento, quella rappresentata dal cosiddetto neo-empirismo logico. Tale movimento di pensiero, in seguito rivisto criticamente da Preti anche nell’incontro-scontro con il marxismo e la stessa fenomenologia husserliana, fu importato in Italia nel secondo dopoguerra assieme a Ludovico Geymonat con l’obiettivo di rinnovare la cultura e, non solo filosofica, italiana; esso, come viene ben sottolineato da di Maria nei vari capitoli, ha fornito a Preti degli strumenti non secondari per portare avanti le sue battaglie tese nel loro complesso a liberare la filosofia italiana, sia laica che cattolica, da quella vuota retorica che spesso l’ha contraddistinta e a fornirle le basi per un confronto più critico e non più rinviabile con quella che chiamava in maniera significativa ‘la civiltà delle scienze’, come risulta dalle postume Lezioni di filosofia della scienza (1965-1966), apparse nel 1989.
Di Maria ha il merito non secondario di sottolineare la sincerità teoretica di fondo praticata da Preti con estrema onestà ed in maniera non comune attraverso le diverse analisi condotte, dote ritenuta la conditio sine qua non senza cui non si può iniziare un dialogo critico e costruttivo; in tal modo anche l’esperienza di fede può trovare, pur nella difficoltà di trovarsi ad essere più vulnerabile sul terreno logico-razionale, un motivo in più per liberarsi dei suoi aspetti più caduchi e per ritrovare un senso più adeguato della sua specificità come fonte di verità da acquisire secondo proprie modalità, non comparabile con altre forme di conoscenza, né ad esse riducibili.
‘L’onesto mestiere del filosofo’ che per tutta la vita Preti ha cercato di esercitare, pagandone a volte in prima persona le conseguenze, permette a di Maria di intraprendere un suo ‘onesto’ percorso teso ad affermare ‘le ragioni della fede’ anche alla luce del dibattito filosofico ed epistemologico più recente teso nel suo complesso a ridimensionare le pretese assolutistiche della ragione scientifica e la sua stessa ‘retorica’; questo gli dà gli strumenti per scavare più a fondo nella produzione pretiana ed evidenziarne incongruenze e contraddizioni nella polemica antireligiosa e nelle critiche al Cristianesimo. Ma tutta questa non comune analisi dei limiti di un pensatore laico e anticlericale permette sempre di ribadire da un lato il fatto che stare a contatto ‘con l’attrezzatura teoretica’ messa in atto da Preti, definito ‘un pensatore acuto e vivace’, è salutare per il pensiero filosofico che in tal modo si libera da visioni scientiste e si apre a orizzonti teoretici meno riduttivi; mentre dall’altro e nello stesso tempo ‘la sua geniale retorica scientifica’ permette al pensatore cristiano di diventare ‘ancor più consapevole della reale complessità e fecondità del pensiero cristiano’, di rafforzare il suo essere credente e di non poter prescindere ‘da un uso razionale della conoscenza’ in quanto è la sua stessa fede che ‘si inscrive in un ben preciso campo di esperienza e di razionalità’.
Così di Maria, grazie a questo non comune e a volte anche sofferto incontro-scontro sia sul piano esistenziale che su quello più teoretico con una personalità del calibro di Preti che gli ha permesso di scavare più a fondo nelle rugosità del suo essere credente, conclude che l’esperienza di fede è un percorso ‘non senza la scienza, ma già oltre la scienza’. In tal senso, forse sarebbe utile ampliare una affermazione del grande logico tedesco Gottlob Frege (1848-1925), il cui pensiero è alla base del neoempirismo logico: ‘tutti cerchiamo la verità; il giudice qual è la verità, lo scienziato dov’è la verità, il filosofo cosa è la verità; il logico come conservare la verità’. A questo si può aggiungere senza togliere nulla a questi percorsi quello della fede che in tal modo conquisterebbe una sua autonomia ed una diversa legittimità epistemica nel porre a sua volta il problema della verità: ‘da dove e verso dove va la verità’.