
Controsenso: usi e abusi delle parole quotidiane
Tradizione: non c’è parola che incarni meglio il confronto generazionale. L’anziano, l’adulto, l’educatore di turno è colui che rappresenta la tradizione e si ripropone di preservarla dalle grinfie del progresso e dei capricci giovanili. Il giovane, invece, cerca se stesso al di là degli schemi, si ribella, rincorre le novità, per ritornare alle proprie radici solo una volta maturato, capace di relazionarsi con esse senza sentirsi in alcun modo minacciato. Tra questi due argini scorre copioso il grande fiume dell’educazione, le cui acque dovrebbero colmare sempre il vuoto, lo spazio intercorrente tra due sponde parallele e oggi sempre più distanti. Si, perché al di là dei meccanismi fisiologici e dei ruoli fissi delle fasi educative, qualcosa è cambiato nel rapporto tra generazioni e nel modo di approcciarsi alla tradizione.
Se si prende il termine al plurale, di primo acchito si potrebbe dire che i “giovani di oggi” non hanno interesse per le tradizioni le quali, sbiadite dal progresso della modernità, restano sempre più nell’immaginario collettivo l’altarino di un passato di essenzialità cui guardare con nostalgia, ma anche di povertà materiale e culturale cui non tornare assolutamente. Riduttivo, come sempre del resto quando si usano i luoghi comuni per approfondire il senso delle parole! Riduttivo perché se ad essere messe in crisi sono le tradizioni, ossia gli usi, le azioni reiterate nel tempo in seno ad una comunità, la responsabilità non può essere caricata soltanto sulle spalle delle nuove generazioni.
Finché gli educatori di turno si limiteranno a tramandare “cose da fare” senz’anima, i giovani si stancheranno sempre, anche perché di cose da fare ne hanno fin troppe!
C’è bisogno, invece, di riti (come disse la volpe al piccolo principe nella favola di Saint-Exupéry), ossia di gesti e parole ripetuti con cuore, capaci di togliere l’uomo per qualche momento dalla routine quotidiana per restituirlo ad essa rinnovato e capace di coglierne la ricchezza. C’è bisogno di festa, di simboli carichi di senso in una società dispersa in mille segni, ricca di tutto ma forse, a volte, povera di gioia. Il rito è questo e molto altro. Ma ci vogliono cuore, intelligenza, cultura, impegno affinché i giovani percepiscano le tradizioni come tali, se ne innamorino, le raccolgano e, soprattutto, le attualizzino. Difatti le tradizioni non sono reperti di antiquariato: esse vanno trattate come frammenti pulsanti di vissuto, capaci di resistere al tempo in quanto adattabili ai tempi e traducibili nei linguaggi odierni.
“Tradurre è un po’ tradire” si dice: ma se ad essere conservato, oltre la mutevolezza delle forme, è l’amore alle radici, nulla sarà tradito. O meglio: non lo sarà in senso dispregiativo, bensì solo letterale …giacché tradizione e tradimento derivano dal medesimo verbo latino tradere, che significa “consegnare”. E allora ben venga il tradimento delle cose ormai incapaci di comunicare, ben venga la loro traduzione in riti rinnovati, cosicchè il senso profondo delle tradizioni, di questo patrimonio consegnato di padre in figlio, vibri ancora vigoroso e rispetti un carattere tipico ed irrinunciabile della specie umana: l’adattabilità ai contesti.
La crisi più urgente, in realtà, è un’altra e per comprenderla si deve ritornare a parlare al singolare.
Si è detto all’inizio come l’adulto nel rapporto educativo rappresenti la tradizione: ebbene il reale problema dei giovani oggi è il rapporto con essa. La tradizione è l’autorità che precede il giovane e l’autorità è la libertà dell’adulto di “stare prima”, di precedere e, quindi, di risiedere naturalmente nella posizione educativa. L’autorità di un genitore sta nella sua libertà di generare; la libertà di un figlio è, deve essere strettamente connessa a tale autorità. Oggi della libertà si parla tanto e male, perché la si considera una collezione di atti svincolati da tutto e da tutti, in un vortice di autodeterminismo assoluto in cui ogni limite è un pericolo e un nemico. Gli adulti sono i primi a ragionare così, per questo non è loro consentito lamentarsi per l’incapacità dei loro figli di farsi carico delle radici e di coltivare valori genuini, dalle piccole alle grandi situazioni!
La scomparsa delle tradizioni, dalle più ufficiali (le feste patronali, le grandi commemorazioni civili) alle più ordinarie (il pranzo insieme la domenica, il Natale in famiglia, la visita al cimitero, la raccolta dell’uva e delle olive), è il segno del rifiuto categorico di sentirsi determinati da qualcun altro. Eppure autorità, questa parola così dura derivante dal latino augere, porta in sé l’idea di un accrescimento, di un arricchimento. Esso, però, si realizza soltanto se si è disposti ad accogliere quanto viene trasmesso, nel bene e nel male: nel bene per farne tesoro, nel male per imparare a rigettare la trappola morale della coerenza e imparare a considerare gli adulti persone di carne, con il diritto di sbagliare e di insegnare anche attraverso gli errori.
L’era digitale in realtà ha definitivamente invertito le dinamiche educative: i “nativi digitali”, custodi di un patrimonio tutto nuovo e sconosciuto agli adulti, hanno ormai definitivamente sostituito quei bambini, quei ragazzini sprovveduti di un tempo. Inutile piangere, si è già detto che l’essere umano è fatto per reagire con l’adattamento alla mutevolezza dei contesti. Occorre ripartire da dove si è. Occorre riavvicinare le sponde in una dialettica di dono e reciprocità, come suggerisce quel tra comune a tradizione, tradizioni, traduzione, tradimento. Nell’Odissea il padre Ulisse, disperso nel mare delle mille esperienze, è cercato dal figlio Telemaco, che invoca la sua autorità affinché liberi la sua casa dai Proci. Oggi tanti giovani invocano genitori ed educatori distratti e disfatti, esprimendo con la propria ribellione una sete di senso e di ordine e il bisogno di trasmettere anche loro qualcosa. Se tra vecchie e nuove generazioni nascerà uno scambio vero, nel quale ciascuno vivrà con zelo la trasmissione all’altro del proprio patrimonio…se ognuno rispetterà il proprio ruolo e si rivestirà dell’autorità che ha a cuore solo l’e-ducere, il tirar fuori il meglio dall’altro, allora ogni tradizione non sarà più un fardello da evitare, ma il bagaglio di un viaggio rinnovato, sulle acque pacifiche e meravigliose dell’educazione, fiume ininterrotto e sempre strabordante, nonostante le secche della società.
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