Il pensiero razionale e l’ignoranza che genera paure
Viviamo in una società in perenne mutamento politico, sociale e culturale. Abbiamo sconfitto malattie, esplorato nuovi mondi, costruito, grazie all’ingegno degli uomini, macchine che hanno permesso di esplorare pianeti, indagare i segreti della natura, accorciare le distanze non solo geografiche, ma anche sociali. Abbiamo vissuto una straordinaria rivoluzione scientifica e nonostante questo stiamo vivendo un ritorno ad uno spaventoso medioevo culturale.
La Rivoluzione scientifica, iniziata nel Seicento con le teorie eliocentriche di Copernico e Keplero e supportate dal rigoroso metodo scientifico di Galileo, è stato un portentoso e rivoluzionario movimento di idee che ha mutato per sempre non solo l’immagine dell’universo, ma anche la concezione del sapere, non più dogmatico ma basato sul pensiero razionale.
Non è stato sempre facile far accettare l’evidenza scientifica in epoche in cui dominavano le dottrine dogmatiche, tanto che lo stesso Galileo nel 1633 fu costretto all’abiura delle sue teorie astronomiche secondo le quali è la Terra che ruota intorno al Sole e non il contrario. Non fu facile per Galileo pronunciare la sua abiura davanti al tribunale dell’inquisizione: “Con cuor sincero e fede non finta, abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie”. Tuttavia se l’abiura era stata pronunciata per soddisfare l’egocentrismo del pensiero religioso e avere salva la vita, il metodo scientifico elaborato da Galileo aveva ormai squarciato il modo dogmatico di osservare le cose. “Eppur si muove”! Già è la Terra che si muove e non c’è dogma che tenga davanti alla forza di una evidenza scientifica.
Il metodo scientifico proprio perché rappresenta una “sintesi di esperienza e ragione, acquisizione di conoscenze verificabili e da discutere pubblicamente (e quindi libera da ogni principio di autorità)” è diventata un punto di riferimento per tante altre discipline.
Dopo la prima fase della rivoluzione scientifica del Seicento, che pone le basi del metodo scientifico, il Novecento ha rappresentato un altro momento di straordinari progressi scientifici.
Primo fra tutti la teoria della relatività elaborata da Albert Einstein nel 1905, in cui il fisico ridefiniva l’interazione gravitazionale con la nuova visione dello spazio-tempo.
Ancora più sconvolgente fu la scoperta del primo antibiotico, la penicillina, da parte del medico, biologo e farmacologo britannico Alexander Fleming nel 1928. Una scoperta, nata quasi per caso; Fleming tornando in laboratorio dopo qualche giorno di assenza, osserva che una muffa cresciuta su una coltura batterica ha impedito lo sviluppo della colonia. Da quella scoperta decine di altri antibiotici sono stati sintetizzati, debellando malattie prima incurabili.
La scoperta nel 1953, grazie agli studi di Rosalind Franklin, James Watson e Francis Crick, della doppia elica del DNA, il filamento su cui è scritta l’informazione genetica, rappresenta il punto di svolta della moderna biologia molecolare che ci svela come funzionano in modo corretto tutte le cellule del nostro corpo, quali sono i meccanismi alla base di molte malattie e come provare a curarle. Dalla terapia genica alle nanotecnologie, dall’immunoterapia alle moderne biotecnologie, dallo sviluppo del computer all’intelligenza artificiale il Novecento è stato un altro periodo di grandi rivoluzioni scientifiche.
Abbiamo quindi percorso tanta strada aggiungendo valore alla conoscenza e paradossalmente ci troviamo oggi a subire una nuova abiura sociale a quel valore.
Perché?
Le ragioni possono essere tante; una tra tutte lo scarso senso critico e pensiero razionale e la crescente e preoccupante ignoranza dei problemi. Molti sono influenzati da un immotivato timore che si possa cedere all’euforia scientifica e tecnologica e da più parti si lanciano allarmi sulle derive faustiane dei progressi scientifici.
Paradossalmente, l’accesso facile e rapido alle informazioni sul web ha reso “l’Homo technologicus” molto più vulnerabile e anche più pericoloso di quando la ricerca del sapere comportava una maggiore fatica e uno studio sistematico di quel sapere. Nell’era tecnologica e digitale il reperimento delle informazioni in modo facile e veloce se da una parte rappresenta una grande opportunità per documentarsi, dall’altra non sempre coincide con il raggiungimento del sapere e della conoscenza. Navigare in rete senza il giusto senso critico, tipico del metodo scientifico, è come avventurarsi in mare aperto con una piccola imbarcazione e senza bussola: ci esponiamo al rischio di una pericolosa disinformazione.
In un recente saggio dal titolo: “Parola di scienziato: la conoscenza ridotta ad opinione” Francesca Dragotto e Marco Ferrazzoli discutono del confronto tra scienziati, opinione pubblica e mezzi di comunicazione. “Nel villaggio locale, medico, farmacista e insegnante rappresentavano il mondo della conoscenza e componevano, insieme con il prete, il sindaco e il comandante dei carabinieri, una cerchia di autorità verso cui la semplice cittadinanza tendeva a mantenere un atteggiamento deferente fino alla sottomissione, in ragione del gap socio-culturale che separava i due livelli gerarchici. Nel villaggio globale, questa verticalità è stata sostituita da un’orizzontalità critica che talvolta sconfina nell’eccesso opposto, in una sorta di equivalenza delle opinioni per la quale tutti gli attori si sentono non solo legittimati, ma anche titolati a esprimere la propria opinione su qualunque argomento. La conoscenza non è più considerata un valore intangibile e la parola dell’intellettuale, dello scienziato, di chi ha studiato e acquisito competenze tende a sfumare in una mera opinione. Anzi: in un parere. Uno dei tanti”.
Questo ha generato una pericolosa deriva dove guru, “para-guru”, imbonitori e fabbricatori di bufale rappresentano i nuovi sacerdoti del pensiero dogmatico, mentre gli accoliti seguaci operano come soldatini che non sanno fare altro che minacciare chi, con competenza e basi scientifiche, confuta le loro conclusioni e pseudo-verità, smontando le strampalate teorie del complotto.
Martin Luther King diceva che “Nulla al mondo è più pericoloso che un’ignoranza sincera ed una stupidità coscienziosa”.
L’inadeguatezza di molti intellettuali e la riluttanza di molti al pensiero razionale sta creando una società dove l’ignoranza e la paura da essa derivata sta prendendo il sopravvento.
In un recente articolo la biologa e senatrice a vita Elena Cattaneo e lo storico della medicina Andrea Grignolio provano a dare una spiegazione al concetto di razionalità limitata nelle scelte decisionali attraverso la “teoria del ragionamento motivato”, secondo cui “l’architettura delle nostre scelte non segue un metodo razionale, ma è spesso dettata da un passato evolutivo che ha scolpito i meccanismi che sovrintendono alle scelte del nostro cervello”. Una sorta di eredità epigenetica; è come se il nostro cervello fosse inadatto, a causa di bias (pregiudizi) cognitivi, alla modernità.
Stiamo vivendo quello che Werner Karl Heisenberg, fisico tedesco, padre della meccanica quantistica e premio Nobel nel 1932, pensava: “se all’uomo occidentale chiediamo cosa sia bene e cosa sia male, che cosa ha senso perseguire e che cosa respingere, le sue risposte rifletteranno le norme etiche del cristianesimo, anche quando non frequenti più da lungo tempo le immagini e le allegorie del cristianesimo“.
In passato erano i dogmi religiosi a dettare i comportamenti del popolo; oggi in un periodo in cui paradossalmente il rapporto tra fede e scienza è di molto migliorato rispetto a cento anni fa, sono i fanatici delle teorie complottiste a sacrificare il pensiero razionale sull’altare dell’ignoranza e della paura.
Da questo bias cognitivo nascono quindi le paure verso tutto ciò che è progresso scientifico, finendo per catalogare tutto, attraverso una pericolosa dicotomia, in buono e cattivo, narrazione e percezione della realtà.
Paura dei vaccini, paura degli ogm, esaltazione del biologico, molecole miracolose, cure fasulle contro il cancro, allarmismi fantasiosi, memoria dell’acqua; un vero annientamento al valore della conoscenza.
La cosa più grave è che questo limite al pensiero razionale non è solo una caratteristica del “popolo”, ma è arrivato a condizionare e plasmare le menti di politici e decisori di turno che promuovono comportamenti volti a veicolare paure immotivate e a legiferare senza un minimo di conoscenza della realtà e delle strategie più ottimali alla risoluzione di quei problemi.
Manca quindi nei comportamenti dei politici un metodo razionale per affrontare e risolvere i problemi.
Un esempio tra tutti, la promessa stentorea del viceministro Di Maio, ospite nella trasmissione televisiva “a Porta a porta” lunedì 25 settembre: “Con questa manovra aboliremo la povertà”.
Abolire la povertà! Promessa nobile. Da quando? Come? Con quali mezzi? Con quali risorse?
La povertà è un problema reale per milioni di italiani, ma la politica a parte i proclami massmediatici dovrebbe capire che prima di euforiche ed isteriche esultanze da balcone deve arrivare almeno con un progetto credibile; perché la povertà, nonostante le buone intenzioni, non si sconfigge per decreto. Ci vuole prima una progettualità credibile, organizzare e rendere, non solo (si spera), efficiente ma almeno operativa la macchina dei centri per l’impiego, definire le modalità di erogazione del beneficio, stabilire programmi di formazione professionale nei settori che possono richiedere e offrire un lavoro, promuovere politiche del lavoro riducendo magari il costo del lavoro e poi dopo forse affacciarsi sul balcone per una boccata d’aria. Ma prima serve studiare!
Vale quello che diceva l’astrofisica Margherita Hack nel commentare la scarsa considerazione che i politici negli ultimi 20 anni hanno avuto verso la cultura e la ricerca scientifica: “La scarsa considerazione che la nostra classe politica e in particolare quella più recente riserva all’istruzione, all’università e alla ricerca è la conseguenza del basso livello culturale della gran maggioranza degli eletti in Parlamento.”
Bisogna ritornare a favorire il pensiero razionale e il metodo scientifico. Gli scienziati, dal canto loro dovrebbero uscire dalle cattedrali, ormai nemmeno più tanto dorate, delle università e dei laboratori e “contaminarsi” con la società civile, attrezzarsi mentalmente per fare da argine al dilagare dell’ignoranza e del pregiudizio e aiutare società e politica a capire il valore della conoscenza per poter fare scelte libere e consapevoli.
Bisogna iniziare ad introdurre lo studio delle scienze sin dalle scuole elementari e l’insegnamento del metodo scientifico nei corsi di laurea umanistici e giuridici. Anche perché finanche le persone più acculturate sembrano avere un bias verso tutto ciò che è pensiero razionale; sin dall’infanzia siamo abituati a ricevere una cultura prevalentemente umanistica e religiosa e ovviamente poco scientifica. Questo ha generato spesso una sorta di dogma dell’opinione ed una riluttanza/paura in tutto ciò che è innovazione, scienza, progresso tecnologico.
Serve ritornare al pensiero razionale.
Del resto come diceva Ippocrate (IV secolo a.c.); “Esistono soltanto due cose: scienza e opinione; la prima genera conoscenza, la seconda ignoranza”.