Non sappiamo se Riina verrà scarcerato, ma il dibattito scatenatosi dall’eventuale scarcerazione è sacrosanto, nonostante le imprecisioni dei giornali

Nel 1992 Totò Riina viene condannato a diciassette ergastoli in regime di detenzione 41-bis. È stato, infatti, il capo di Cosa Nostra per 11 anni e sta scontando la sua pena da 24 anni per esser stato ritenuto responsabile di diversi crimini e una lunghissima lista di omicidi particolarmente efferati, tra i quali spiccano quelli dei giudici Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte. Ai nati dopo quella tragica stagione, basterà fare una rapida ricerca su Wikipedia per rendersi conto di quanto sia impressionante quella lista.

Di fatto Totò Riina è una delle persone peggiori della storia contemporanea italiana ed è uno di quelle figure che ha contribuito a peggiorare il Paese.

È tornato prepotentemente d’attualità a causa dei suoi problemi di salute. A 86 anni sembra abbia problemi di tutti i tipi: al cuore, neurologici, un cancro ai reni e problemi di deambulazione. Insomma, come tanti uomini della sua età necessiterebbe di assistenza e costante monitoraggio medico, che gli verrebbe offerto, ma in carcere. Dalle informazioni che girano in questo momento, parrebbe non essere nemmeno in grado di alzarsi e sedersi autonomamente.

Il suo avvocato ha quindi fatto richiesta al tribunale di sorveglianza di Bologna per uno scarceramento o, perlomeno, per l’affido ai domiciliari affermando che, viste le condizioni di salute del suo assistito, verrebbero a mancare il senso di umanità e dignità che anche in caso di detenzione non può in alcun modo essere leso, sia per la nostra Costituzione, sia per la convenzione europea dei Diritti fondamentali dell’uomo.

Il tribunale di sorveglianza ha rifiutato l’istanza affermando essenzialmente che le cure mediche di cui ha bisogno Riina le riceve già in carcere e che stare in una cella o a casa sua non migliora né peggiora il suo stato di salute. Aggiungendoci il fatto che l’individuo è particolarmente pericoloso ed è stato isolato proprio per tranciare ogni rapporto con Cosa Nostra, il tribunale ha ritenuto che sarebbe il caso che Riina rimanesse in carcere.

La Cassazione non è d’accordo, ma non è nemmeno contraria, in realtà, perché per ora ha annullato la sentenza del tribunale di sorveglianza, ma con rinvio. Significa che la decisione finale è ancora da prendersi. È ovviamente probabile che non sarà la stessa, ma è altrettanto probabile che ne riparleremo in futuro.
Secondo la Cassazione la decisione è stata presa non tenendo conto dell’età del detenuto e del fatto che le sue condizioni fisiche pregiudichino la pericolosità dell’individuo. Perché, in effetti, se quest’uomo davvero è soggetto a declino cognitivo e non può nemmeno muoversi, è difficile che ricominci l’attività mafiosa o che scappi una seconda volta.

Inoltre sarebbero emerse perplessità della Corte sulle differenze nello stare in carcere o in clinica o a casa per il detenuto, sottolineando quelle che sono alcune deficienze strutturali del carcere. In teoria non sarebbe dato che le cure che riceve da una parte, le riceva anche dall’altra.

I fatti sono questi e il dibattito è ovviamente molto acceso. E non è la prima volta.

Già in passato c’è stato un caso analogo con il boss Provenzano, anche lui detenuto al carcere duro e anche lui gravemente malato. Si erano mosse le stesse perplessità e le stesse polemiche quando era emerso che, nonostante le sue pessime condizioni di salute (non sembrava in grado di capire assolutamente niente), l’ex boss fosse ancora detenuto al 41 bis e addirittura prima di morire, durante il ricovero in ospedale, Provenzano rimase comunque in regime di isolamento, senza poter avere contatti con nessuno.

Tornando a Riina, quindi, comprendo perfettamente le posizioni di tutti, dai più moderati ai più estremi. Da una parte c’è chi ricorda che è vero: i bambini sciolti nell’acido, gli attentati, i danni alle famiglie, alla sua terra, allo Stato… Riina è stato un mostro. Ma noi, come società, dovremmo essere meglio di così ed è ciò che ci differenzia dal vivere come se fossimo appena scesi dagli alberi, che è particolarmente tipico degli ambienti nei quali Riina è stato re incontrastato. In tal senso affidarlo alla famiglia durante il periodo di degenza sarebbe un gesto giusto e caritatevole.

Dall’altra c’è chi però fa notare che scarcerarlo non sia soltanto ridicolo, perché è fisiologico che a una certa età un uomo vada incontro a problemi fisici, ma sarebbe ingiusto nei confronti dei parenti delle vittime e di noi tutti come italiani. Addirittura trasmetterebbe un’idea di Stato debole che vanifica i suoi sforzi e il sacrificio delle tante persone che hanno dato tutto per assicurarlo alla giustizia, permettendo a una persona come Totò Riina di tornare in libertà. Perché quello verrebbe percepito, a prescindere: Totò Riina che torna a vivere di nuovo nel suo paese, con tutto quello che ne consegue, anche solo folkloristicamente.

Nessuno ha completamente torto. Entrambe le campane suonano per trovare un equilibrio tra giustizia, che rischia però di diventare vendetta, e civiltà, che allo stesso modo rischia di trasformarsi in debolezza e senso di ingiustizia. In entrambi i casi non andrebbe bene.