Ti sogni?

«Ciascuno cresce solo se sognato»

(Danilo Dolci)

Caro lettore, adorata lettrice,

quand’è l’ultima volta che ti sei sognato? Hai letto bene, nessun errore di ausiliare. Non intendevo chiederti l’ultima volta in cui “hai” fatto un sogno, ma l’ultima volta in cui hai sognato te

Ecco, sì, avere dei sogni, è già una gran bella cosa. Chi non sogna, non cammina, perché non insegue. È statico, immobile, abbarbicato al suo “sano realismo”: tipo l’ideale dell’ostrica così ben delineato da Verga nella sua “Fantasticheria”.

Un po’ di stereotipi? Quanti ne vuoi: «Chi nasce tondo, non muore quadrato»; «Da che mondo è mondo si è fatto sempre così»; per non dire di  Tucidide:«I forti fanno ciò che devono fare, e i deboli accettano ciò che devono accettare».

A dire il vero, io preferisco il poeta rumeno Valeriu Butulescu: «Non sono i nostri nemici che ci spaventano, ma i nostri punti deboli». Già. Fin troppo allettante la tentazione di dare la colpa agli altri delle nostre pusillanimità. Viva Thomas A. Edison! Ipse dixit: «La nostra più grande debolezza sta nella rinuncia. Il modo più sicuro per avere successo è sempre quello di provarci ancora una volta».

Perciò ribadisco: avere dei sogni è vitale. Ma sognarsi è un’altra cosa!

Perché chi si sogna, non si accontenta. Chi si sogna, vuol cambiare il mondo. E chi vuol cambiare il mondo, sa che può cominciare solo da se stesso. Chi vuol cambiare il mondo, non è rassegnato: mai. A dispetto di mezzi insufficienti, montagne da scalare, voragini da colmare, cadute rovinose.

Insomma: chi si sogna, evolve e rivoluziona. Se stesso e il mondo.

E chi non vuol cambiare? Beh, a lui tocca un compito ben più agevole. Gli basta presentarsi come un tipo “sveglio”, coi piedi per terra e gli occhi aperti. Ci saranno sempre sufficienti motivazioni per arrendersi e giustificare la propria resa, persino con le più robuste e sacrosante spiegazioni.

Le stesse che non convinceranno mai chi persegue una visione. Immaginati tu se a Socrate, davanti alla sua pozione di cicuta, difettassero delle sane argomentazioni per non bere il suo veleno. Immaginati se Francesco d’Assisi non avesse più di una solida ragione per non mettere al vento il proprio sedere davanti al padre e all’arcivescovo. Eppure né l’uno né l’altro, come tanti altri, ha esitato. Né l’uno né l’altro, come tanti altri, ha rinunciato a mirare caparbiamente al proprio ideale: e ciascuno di loro ha cambiato il mondo oltre che segnare il proprio destino.

Vorrei essere capace di farti un elenco di uomini e donne come loro, ma non sono in grado: pensa un po’ tu a quanti hanno fatto la storia e vi troverai sempre la stessa, ostinata, determinazione.

Lo ha detto bene Adriano Olivetti: «Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande».

Lo so, mi dirai, aria fritta, trita e ritrita. Io stesso temo di essere tornato più volte su questo tema nei nostri caffè.

Ma sai che c’è? È che viviamo tempi tristi, almeno così a me pare, e sono stanco di vedere persone che non sorridono. Penso sia più intelligente aver cura di un sorriso che farsi curare da un dottore, almeno finché si può: e senza nulla togliere ai dottori, per carità!

E allora, se ciascuno cresce solo nella misura in cui è sognato, caro lettore, adorata lettrice, la domanda, come vuole Lubrano, sorge spontanea: e tu, ti sogni?

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