Perth, 2023, SBS TV e Radio e Podcast on line
Mi ero preparata al tema del carcere quando abitai qui perché nel 2016 e nel 2017 una volta alla settimana guardavo un documentario dell’emittente SBS che io adoro e che approfondiva il tema dal punto di vista di tutti gli attori coinvolti, reclusi e no. Prima di conoscere l’emittente SBS nel 2016, solo Radio Vaticana nel 1998 di rientro dall’Egitto, mi era sembrata globale. Dopo che hai vissuto all’estero le news italiane non ti bastano più.
Non sapevo nulla del carcere allora, tranne che quando il Console andava periodicamente a visitare i detenuti italiani, anche guidando ore, io provavo una profonda ammirazione.
Seppur ignorante affatto, mi colpì il fatto che tutti, ma proprio tutti, ritenevano la modalità classica di detenzione inefficace e propedeutica alla recidiva. Mi chiedevo, ma se la pensano tutti così perché lo riproponiamo immoto?
Poi giunsi a Roma dove le quattro carceri di Rebibbia erano diventate, mentre ero in Australia, di mia competenza poiché erano state incluse nel CPIA1 di Roma che risultava diretto da me anche se nel frattempo c’era stata una mia collega che già aveva lavorato nel campo.
Il CPIA2 che avevo fondato non esisteva più, era diventato CPIA1 e contava otto sedi fisicamente separate e lontane, di cui quattro nelle quattro direzioni penitenziarie di Rebibbia e quattro sul territorio esteso quasi su tutta Roma Est con esclusione del Municipio 6. Le quattro sedi esterne coprivano quattro municipi abitati ciascuno da centinaia di migliaia di abitanti. In totale il bacino di utenza sfiorava il milione di abitanti. Il Municipio 6, uno dei più grandi di Roma, risultava da solo coperto dal nuovo CPIA2.
I Municipi due, tre, quattro e cinque di competenza del CPIA1 coprivano tutta la tangenziale est “dalle Alpi alle Piramidi”, dal Tufello a San Lorenzo, passando per Tor Pignattara e per tutta la Tiburtina.
Il cuore pulsante di questa macchina complessa e tutta la mia squadra si trovavano e si trovano a Casal Bruciato di fronte al Centro di Formazione ELIS, un campus direi di standard australiano a tutti gli effetti, attivo in quel territorio da decadi.
Dentro il carcere di Rebibbia ci misi un anno a capire i luoghi e la complessa gestione efficace degli spazi. Il primo anno andavo a Rebibbia ad ogni occasione. Credevo di dover conoscere per poter tentare di fare la differenza.
Uno dei tanti motivi per cui ho smesso di lavorare, e sono una moltitudine, è che dentro un sistema ingessato come il carcere è quasi impossibile fare la differenza.
La complessità del carcere è talvolta paralizzante.
In estrema sintesi capii che le Direzioni erano quattro separate da muri, cancelli e competenze. In realtà ciò che le separa è la loro natura giuridica che fa della Casa Circondariale la struttura più affollata.
Ciascuna realtà penitenziaria era poi ulteriormente suddivisa in reparti, separati fisicamente da ulteriori muri e cancelli.
Il carcere è il museo della siepe di Leopardi.
“Tutto il guardo è sempre escluso”. Un direttore mi colpì perché mi spiegò che nel suo carcere le celle venivano chiuse solo di notte e di giorno i ristretti circolavano liberamente. Non ho mai saputo se questa sia la norma dovunque o meno.
Mi fu subito chiaro che la sfida da cogliere risiedeva nello spazio e nel tempo, più nel tempo che nello spazio. Lo spazio mi sembrava una battaglia persa, ma in terra estrema occorre combattere anche le battaglie perse che non si possono vincere.
Provai con lo spazio. Comprai tavoli tondi da otto e sedie da mettere nei corridori perché almeno l’apprendimento non avvenisse in una ex cella. Non avrei mai potuto senza l’appoggio dei direttori e dei comandanti della polizia. Mi incoraggiarono ed io credetti nel loro supporto. Ma i direttori cambiarono sia al femminile che al penale e quei tavoli non furono mai aperti. E’ impossibile cambiare. Nel corridoio passavano i carrelli, urlava l’altoparlante. Il carcere è concepito per essere funzionale al “fordismo”. Fuori dalla catena di montaggio sei solo di intralcio, sempre.
Così come erano arrivati tutti quei tavoli, tre direzioni dopo, tornarono sui nostri territori a beneficio dei migranti. Pas mal. Al femminile i tavoli erano stati concepiti in modo ancora più ambizioso. Avrebbero dovuto formare l’ambiente di apprendimento all’aperto nelle serre fra il verde, l’allevamento di conigli, l’uliveto e le fontane. La carenza di personale impedì ogni ambientazione non “fordista”. Ed anche da lì i tavoli ripartirono così come erano arrivati e li dislocammo sui nostri immensi territori a beneficio dei migranti che ringraziavano “per la qualunque”. Anche solo per essere stati accolti col sorriso.
Provammo ad aumentare i notebook ma anche quello apparve ardito. Non era facile collocarli, sorvegliarli, ricaricarli. Tutto è assolutamente difficile. E comunque venivano tolte le schede Internet prima del Covid.
Allora affrontammo il tempo. Un’ecatombe. Il tempo è ristretto in carcere come lo sono loro. Ci sono i turni di sorveglianza e il personale sotto organico e i pasti serviti in cella, e il cibo che si raffredda e i settori che vanno aperti monitorati e controllati. Il risultato è che ci si ingolfa: dalle 9 alle 12 – tempo ottimale – dovrebbe accadere di tutto e di più. La scuola elementare per alcuni, Italiano per stranieri per altri, la scuola media per i più, da due a sei tipi di scuole secondarie superiori, il lavoro, e, spesso, nel pomeriggio i corsi professionali, i progetti creativi, le iniziative del terzo settore, gli avvocati, i trasferimenti, etc.
No. Non è andata così. Montagne di tempo perso, montagne di ore non insegnate.
Il lavoro deve avere la priorità ma la disponibilità di organico dovrebbe garantire gli spazi serali educativi per tutti in tempi generosi, in termini di budget, e distesi, in termini di offerta formativa. Il registro elettronico dovrebbe garantire la trasparenza dell’assiduità della presenza, mentre l’attuale badge dei docenti è poco indicativo ai fini educativi, dal lato dell’utente. Ci sono dei vantaggi giuridici nella frequenza per il ristretto e, dunque, la trasparenza del registro elettronico è un legittimo interesse dello Stato e la connessione Internet deve essere l’ostacolo da rimuovere secondo la costituzione. Non è semplice e l’era del COVID di là da venire nel 2018 ce lo avrebbe dimostrato a partire dal marzo del 2020.
E poi c’erano le ineguaglianze e le differenze. Tanto personale non aveva terminato il diploma. Le scuole erano lì a portata di mano ma i turni impedivano ai più, lavoratori liberi, di beneficiarne.
Le Direzioni facevano l’impossibile per garantire il lavoro a tutti i ristretti e quasi ci riuscivano.
Però la rigidità e la complessità della struttura ostacolavano l’ottimizzazione delle risorse. E poi c’era l’università, e il teatro, e il cinema, e la biblioteca, etc.
C’è tanto in carcere e tanti raccontano di aver imparato a scrivere e a leggere direttamente in L2 – Lingua straniera seconda in regime di detenzione.
Alla fine nella migliore delle ipotesi il carcere funziona da collegio.
Lo dicono anche nella serie Mare Fuori.