…inutile, fastidioso, ma, prima o poi, tocca a tutti.

Tutti ci siamo passati da bambini, fosse per colpa dell’asilo, dei contagi tra fratelli o cugini, delle aree gioco dove ci si scambiavano giocattoli, starnuti e germi, ma l’infanzia di quasi tutti gli esseri umani occidentali è segnata da quelle due settimane piene di bolle rosse, febbre e crosticine da grattare… la varicella.

Facendo parte di un macrosistema sociale che ci rende simili più di quanto non vorremmo, ci sono tappe che scandiscono la vita di ciascuno e che sono più o meno tutte uguali: da piccoli tutti abbiamo la varicella, gli orecchioni, una bronchite passata da bambino a bambino. Da adolescenti si tratta della fissa con qualche gruppo metal rock, rap o indieggiante.

Ma, raggiunta l’età di circa diciannove anni, c’è una generazione intera che deve avere a che fare con la piaga sociale giovanile più fastidiosa degli ultimi quindici anni (almeno): i test d’ingresso. Settembre ormai è scandito  da quello che a tutti gli effetti è un problema sociale, culturale e, ai limiti massimi, anche politico. Se siamo stati illusi durante l’intera carriera scolastica di essere di fronte ad un sistema d’istruzione accessibile a tutti, ci siamo trovati nello scontrarci con università che per la maggior parte hanno posto dei paletti, anzi, proprio dei cancelli. Quest’anno, per dire, a medicina i posti sono stati ulteriormente ridotti, ci sarà spazio solo per uno su sette dei candidati, per non parlare dell’intenzione di rendere a numero chiuso anche l’accesso alle facoltà umanistiche (dove c’è molta meno affluenza, generalmente, rispetto a quelle scientifiche). Parallela alla riduzione dei posti, aumentano le polemiche, concretizzatesi finalmente in azioni legali e statali (perchè di problema statale si tratta), nel ricorso del tar del Lazio, respinto, e nelle dichiarazione del rettore dell’Università di Bari, Uricchio.

Ora, il problema non è mai stato quello della necessità dello studio per entrare in una facoltà: quello è il primo passo,  l’università del resto è molto più di un semplice test d’ingresso. Ed è proprio questo il punto: un’università pubblica deve poter dare a tutti l’opportunità di cominciare? In uno Stato democratico, dove l’istruzione è pubblica, tutti dovrebbero poter avere un posto in cui studiare, un accesso almeno garantito? Certamente,  la selezione naturale avviene durante gli anni stessi di università ed è, con gli esami, la pratica e i tirocini che  discriminano tra chi ha la stoffa e la volontà di continuare e chi no; non si può dire lo stesso per un quiz di 60 domande in 100 minuti; per dire, in certe università straniere il vincolo è un tot di esami da sostenere e superare entro il primo anno, pena l’esclusione dal corso. Affidare invece l’accesso ad un test d’ingresso significa, in primo luogo, dire (e accettare) che non c’è spazio per tutti fin dal mondo universitario, ma vuol dire anche, e  troppo spesso, scegliere che vinca in qualche modo il caso, o quanto meno che prevalgano variabili che non c’entrano solo con la bravura o lo studio; i test d’ingresso sono a crocette, spesso toccano argomenti che a scuola non vengono trattati (vedi i quesiti di logica), spesso per una manciata di punti, se non di centesimi, ti ritrovi fuori di graduatoria, fuori da una facoltà. Questo significa che c’è una collisione: il sistema scolastico non prepara alla naturale evoluzione del percorso di istruzione superiore, l’accesso al mondo universitario.

Dicono che il numero chiuso serva a regoalre l’accesso al mondo del lavoro, lì dove ci sarebbe un esubero di figure professionali rispetto alla reale necessità. La verità è che il mondo universitario non riesce a contenere le figure scolastiche che ha formato. Il nostro livello d’istruzione è superiore alla media, perchè in Italia si studia di più, eppure non si riescono a dare le stesse opportunità a tutti, per questioni spesso cruciali, nella loro mediocrità: la mancanza di aule, la mancanza di docenti… problemi imbarazzanti per i grandi atenei italiani, eppure così decisivi nella loro concretezza.

Ma questo apre un discorso ben più ampio, che tocca purtroppo questioni articolate. Forse sarebbe da capire il corto circuito dell’Università italiana, dove è diventato palese l’errore del 3+2, che è servito solo a rallentare in tanti casi e a far perdere un anno intero agli studenti (nel momento in cui, dopo la sessione di laurea, non si trovano in tempo con l’apertura dell’anno accademico), o dove una sessione intera, quella autunnale, rischia di saltare per uno sciopero, quello dei docenti, che per quanto giusto, nel creare disagio va a danneggiare una sola classe: quella degli studenti. Chi vedrà slittare esami, in certi casi sessioni di laurea, paga il reale prezzo delle scelte sbagliate del Governo.

La bocciatura del ricorso del Tar del Lazio alla richiesta di eliminare il test è la dimostrazione che il numero chiuso sarà una piaga sociale che andrà avanti per anni. Ancora classi intere si troveranno a fronteggiare test d’ingresso, e con esso le ansie, le incertezze, il rammarico del cercare l’alternativa nel caso in cui tutto vada male, lo studio mai sufficiente, la necessità di dover dare il meglio che potrebbe anche non bastare.

Davvero: il test d’ingresso è proprio come la varicella, inutile, fastidioso, ma, prima o poi, tocca a tutti.


Fontehttps://flic.kr/p/HL16X
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Aspirante psicologa, classe 1995. Leggo tanti libri, guardo troppi film, mi affeziono malauguratamente ai personaggi delle serie tv, mi relaziono al mondo sventuratamente con lo sguardo della Psicologia, non sto mai ferma e in santa pace (contro la mia volontà), viaggio tra le mie strade con la stessa curiosità dell'eroe dal multiforme ingegno (sì, sono diplomata al Classico, se non lo aveste capito), mi nutro di risate, amici e tanto cibo poco sano. Riassumendomi, in climax ascendente: studio, scrivo, sorrido, vivo.