L’emergenza Coronavirus ha posto fine all’anestesia collettiva

Alle soglie del XXI secolo i rapidi progressi scientifici e tecnologici della medicina hanno consentito enormi progressi. Ma contemporaneamente si è andati incontro a una sofferenza, sempre più diffusa e preoccupante, di quei valori umanitari che travalicano lo slancio emotivo del momento per essere stabile comportamento collettivo. I veloci cambiamenti richiedono infatti un impegno che mina la nostra energia “interiore”, causando disturbi psichici e depressione. Dobbiamo temere l’epidemia della paura! – sostiene il francese mons. Pascal Roland, vescovo di Belley-Ars.

Nonostante la sua sofisticata organizzazione, la nostra società rimane vulnerabile. La peste del coronavirus ci mette faccia a faccia con le nostre debolezze, facendoci sentire ancora più fragili ed impotenti. Questa epidemia ha messo a nudo l’importanza del fattore umano: è più forte dell’individuo. E l’individuo ne è la vittima!

Covid-19 scombussola i giochi, perché non opera al livello delle economie e del denaro, se non indirettamente, ma tocca le persone; e il contagio emotivo supera di gran lunga qualsiasi realtà più o meno catastrofica.

Ansia, paura, persino panico o fantasie assumono una dimensione potente e spettrale, alimentata dalla forza della psiche collettiva. Siamo intrappolati in una gabbia che è diventata troppo stretta, in cui i fantasmi circolano più velocemente dei beni e delle persone. Credo che abbiamo davvero bisogno di una camera d’aria per la decontaminazione.

Purtroppo, in questo contesto, la spiritualità è la grande assente. Con lucidità e franchezza Jung ci rivela qual è il male oscuro dell’uomo moderno: il mancato riconoscimento e la valorizzazione della spiritualità, che nulla ha a che vedere con il devozionismo. Il grande psicoanalista rivela che la caduta della spiritualità porta l’uomo a una tale distanza da se stesso e dalla propria interiorità da non riconoscersi più. La rigenerazione dell’uomo potrà avvenire solo a patto che esso ritrovi il coraggio di guardarsi per quello che è, di riconoscere la spiritualità quale profonda istanza del proprio essere e bisogno fondamentale. Jung credeva che la spiritualità fosse essenziale per gli esseri umani e che occorresse prenderla più seriamente.

L’esperienza che stiamo vivendo ha posto fine all’anestesia collettiva intorno ai problemi che ruotano attorno alla persona umana. Il Covid-19 ha smascherato il punto debole della nostra vita e del nostro pensare: dietro la logica del profitto, dietro i numeri del Pil, dello spread o delle “borse” appare improvvisamente il volto degli esseri umani che hanno paura, che soffrono, che muoiono.

L’economia mondiale, certamente, prima o poi si riprenderà, come si è ripresa dalla crisi del 2008; ma anche il Covid-19 sarà sconfitto; però una crepa rimarrà sempre aperta nella nostra società frenetica, in cui i ritmi di vita sono scanditi da regole puramente aziendali. Ora siamo costretti a fermarci, perché infettati o perché in quarantena: un’esperienza che forse potrà anche durare a lungo, ma che ci consentirà di raggiungere una nuova fase della vita. Questo nostro tempo costituisce il passaggio da un periodo a un altro, per far spazio a una nuova umanità.

Questo nostro essere obbligati a fermarci, chiusi in casa, se accettato, può costituire “una finestra sulla vita”, un modo per vivere questa crisi più intensamente, attraverso la valorizzazione del silenzio creativo. Grazie al silenzio si odono e si interpretano i segni dei tempi. Si forgiano alternative e si generano legami: è il luogo sacro dell’ascolto. Il fare silenzio contraddistingue l’uomo più del linguaggio. Molti animali “parlano” (emettono suoni e si intendono in una qualche forma di linguaggio), ma nessun altro essere possiede la capacità di comunicare mediante il silenzio.

Compagno della solitudine, il silenzio è in effetti l’indispensabile sale di ogni relazione umana; e questo contro la nostra post-modernità, tormentata da rumori.

Per diventare nuovi uomini, forse abbiamo bisogno di utilizzare pienamente questo tempo di crisi esistenziale, perché la vita è ben superiore ai bilanci commerciali e ai guadagni.