Un’impronta di mani, mani di migranti”. Con queste parole Vauro Senesi, della Comunità San Benedetto al Porto di Genova, ha fatto sentire la propria vicinanza agli extracomunitari sbarcati e respinti a Ventimiglia. Mani disperse, senza terra né confine, mani che potrebbero anche modellare il nostro futuro, rendendoci orgogliosi di aver dato conforto a chi domani modellerà artisticamente un Paese i cui unici scogli saranno visibili solo nel Mar Ligure. Già, il mare, la divina semantica che istruisce la nostra cultura, simbolo di libertà ed evasione, raffigurazione mitologica di musicisti universali, quelli che, da De Andrè a Lauzi, hanno abbattuto le barriere territoriali del monopolio spirituale regalandoci un motivo in più per essere fruitori di vita.

In fondo, la Comunità Europea ha gettato le sue basi politiche già da qualche anno e, a prescindere dalla moneta, il vero conio di regni uniformi e coesi lo si deve, indubbiamente, anche ad alcuni Imperatori che facevano della loro curiosità di conoscenza lo sprone per espandersi in lungo e in largo. Lo si deve soprattutto a Francesco II d’Asburgo, sovrano di un’Austria nella quale, successivamente, confluiranno anche Boemia, Croazia ed Ungheria. La sete di apprendere che rifocilla le papille gustative di un esteta del bel suono. Questo spinse Francesco II a nominare suo “virtuoso di camera” un visionario come Niccolò Paganini. Genovese e di umili origini, Paganini ha reinventato l’uso del violino, collocandosi di diritto sul podio degli antesignani romantici degli armonici arrangiamenti italiani. Continuatore della scuola di Pugnani, Viotti e Locatelli, Niccolò Paganini, ha apportato, sin da giovane, sostanziali innovazioni al pizzicato e allo staccato.

Compositore ma anche esecutore, trovava innaturale approcciarsi ad un’opera su cui non avesse il totale controllo. Le corde del suo violino legavano idealmente tra loro tutti gli stili europei ottocenteschi. I suoi concerti riempivano i teatri di Parigi, Londra, Praga e, soprattutto, Vienna dove intrattenne Francesco II e tutta la sua Corte per venti sere consecutive. Ciononostante amava improvvisare e, nel 1818, al Teatro Carignano di Torino, declinò l’invito di Carlo Felice rifiutandosi di concedere un bis perché a suo dire “le opere d’arte non si possono replicare, quindi Paganini non ripete.

Un’unica terra, Genova, una sola razza, l’essere umano, artista dell’emancipazione attraverso un’orchestra fatta di Stradivari e tamburi, cori ed assoli, per crescere insieme sotto l’issata bandiera dell’uguaglianza e della musica.

Se tutti volessero suonare la parte di primo violino, non si potrebbe mai mettere insieme un’orchestra. Rispettate per tanto ogni musicista in qualunque posto voglia restare” (Robert Schumann).