La storia di un’amicizia incredibile; un sogno impossibile, un finale… da favola!
Il paese di Quisirealizzanosogni, poco più di un fazzoletto di case, steso lì, davanti ad una bianca scogliera a picco sul mare, in un giorno molto lontano, fu testimone di un fatto veramente strano. Ancor oggi, tutti i forestieri che passano di là, si ritrovano, nel bar del paese, ad ascoltare la storia di Tobia e della sua amica Mina .
Era un giorno d’estate: uno di quelli accarezzati da un frizzante venticello che saliva dal mare, una brezza che si insinuava in ogni vicolo e stradina del paese e solleticava il naso di chiunque incontrasse per strada portando il suono della risacca che batte la costa e il sapore di sale che si appiccica alla pelle.
Tobia era l’unico bambino del paese e se ne stava, come ogni pomeriggio a guardare il soffitto, molleggiando sul vecchio lettino di ottone appartenuto a suo padre, aspettando qualcosa che interrompesse la monotonia della sua giornata. Faceva troppo caldo per cacciare lucertole, quel giorno. Si sarebbe accontentato di qualche moscone che , in cerca di sollievo a quella calura, avrebbe finito con l’arrivare prima o poi , ignaro di andare incontro ad una fine ben più misera; era lì e aspettava. Sarebbe certo successo qualcosa.
Poi, una folata di vento sventolò la bianca tenda di lino sulla porta di casa: d’estate, la porta rimaneva aperta per consentire al vento di rinfrescare la casa. Fu allora che la brezza si intrufolò nella stanza di Tobia e con essa uno strano suono, come di un pianto di bambina; una voce sommessa, poco più di un lamento.
Tobia balzo in piedi; il letto cigolò più forte e per un attimo la voce scomparve.
– Che sta succedendo? – Tobia era sconcertato. Fermò il respiro; si paralizzò e ancora una volta la udì. Non c’erano dubbi: era il pianto di una bambina e veniva dal mare.
Fu un attimo ed era già fuori di lì.
– Scendo a mare, ma’ – gridò , passando velocemente dalla cucina senza lasciare a sua madre nemmeno il tempo di rendersi conto che era troppo presto per uscire, troppo caldo… troppo tutto!
Correva verso il mare e ogni tanto si fermava per esser certo che la voce fosse ancora là; si piegava sulle ginocchia a prender fiato, le mani sulle cosce e le orecchie ben tese. La voce lo guidava verso di lei.
Ecco; ora era davanti al mare. La scogliera ai suoi piedi e mille sfumature di azzurro avvolgevano il suo sguardo man mano che le piccole onde sollevate dalla brezza si infrangevano a riva. Scese velocemente giù. Sapeva come muoversi; un piede qui, un balzo e poi un altro lì; passo dopo passo, sentì l’acqua alle caviglie e la voce vicinissima.
Ora era sicuro; c’era una bambina nascosta da qualche parte. Ma dove? Si guardava intorno perplesso. Non vedeva nessuno. Eppure la sentiva. Piangeva ancora; piccoli singhiozzi e delle paroline che non riusciva a capire rompevano l’aria. Volgeva il capo in ogni direzione ma non vedeva nessuno. Sconsolato e sempre più perplesso, si lasciò cadere su uno scoglio – Non c’è nessuno – esclamo, sconsolato – Strano.
Poi abbassò il capo e la vide.
Una piccola cozza, con le valve dischiuse, che si dibatteva con tenacia quasi a voler lacerare, a furia di piccoli strattoni, il bisso che la teneva legata allo scoglio. La voce veniva di lì. Tobia era sconvolto. Fermo come uno stoccafisso, quasi impaurito all’idea che qualcuno potesse vederlo lì, non sapendo che fare, rimaneva immobile.
Poi lei lo risvegliò con un grido più forte. Non piangeva più. Era arrabbiata – Sei arrivato fin qui per startene a guardare? Su, vieni a liberarmi-
– Una cozza? Sto parlando con una cozzaaaaaaa????? – E si guardò intorno ancora una volta, sbigottito.
E prima ancora di capire cosa stesse facendo, le rispose: -Ehiiiii, tu! Come riesci a parlare? Chi sei? –
– Mi chiamo Mina. Aiutami. Sono qui per sbaglio. Io non ero destinata a diventare una cozza. Io desideravo essere una farfalla; volare, vedere il mondo e invece, eccomi qua, chiusa in questo guscio stretto, buio. Mi sento soffocare; non posso nemmeno allungare la testa fuori per vedere cosa c’è, dall’altra parte. Acqua, vedo solo acqua. Salata. Mi bruciano gli occhi. Sei l’unico che riesce a sentirmi, ti prego. Aiutami a volare! –
– Volare? Aiutarti a volare? Come faccio? Sono solo un bambino. –
Mina riprese a piangere. Il suo sogno stava per essere infranto, ancora una volta, e lei era così stanca di lottare, non aveva nemmeno più la forza di divincolarsi, figuriamoci quella di implorare aiuto. I suoi movimenti si fecero più lenti e il suo lamento riprese.
Era triste vederla così. A Tobia si spezzava il cuore e stava per mettersi a piangere anche lui quando, improvvisamente, ricordò.
– Mina, Mina – gridò, tutto contento – posso farcela; posso aiutarti se tu mi prometti di resistere fino a domani.Ti fidi di me? Mi aspetterai buona buona? –
Mina aveva una speranza; non tutto era perduto ed in fondo aspettare fino a domani non era poi impossibile. – Lo prometto. Ti aspetterò. –
Tobia aveva un piano. Il giorno dopo ci sarebbe stata l’esibizione delle mongolfiere; come ogni anno, decine di palloni colorati avrebbero solcato il cielo sulle bianche scogliere. Doveva solo trovare un modo per portare Mina lassù. Di lì, avrebbe visto il mondo . Avrebbe volato sul mondo.
Facile!
Tutti raccontano che quella notte ci fu gran fermento sulla scogliera. Gli uomini con i loro palloni volanti facevano a gara per arrivare prima per poter scegliere il posto migliore, studiare il vento e respirare il mare fino a riempirsi i polmoni. Tobia, per tutta la notte si agitò nella sua stanzetta; non c’era tempo per dormire, quella notte: doveva preparare tutto con cura, nessun dettaglio andava trascurato.
All’alba, sgattaiolò fuori, zitto zitto, e corse alla scogliera; da Mina. In mano, un vecchio coltellino ricevuto in regalo per la comunione e un barattolo di quelli che mamma usava per le conserve.
– Sono qui – sussurrò – Ora ti libero. Oggi potrai volare. –
Mina non riusciva nemmeno a parlare: ora era lei, l’imbambolata. Se lui avesse potuto vederla!
Se ne stava lì, nel suo guscio , sbigottita, non riuscendo quasi a crederci. Ecco; stava accadendo veramente!
Zac, un colpo secco e Tobia aveva già reciso quel tenace filamento con il quale Mina era tenuta imprigionata, ed ora la teneva lì, tra le sue mani. Veloce, immerse il barattolo nel mare e lo riempì d’acqua; poi vi lasciò scivolare Mina. Ancora un po’ d’acqua, avrebbe potuto sopportarla!!!
Poi, corse felice, verso i palloni.
Scelse il più bello: i colori dell’arcobaleno erano tutti lì. Si sporse poco poco nel cesto; le gambe penzoloni, poggiò il barattolo sul fondo, e poi la salutò: – Vola, Mina. verrò a riprenderti quando tornerete. –
Dal barattolo, si alzarono mille bollicine .
– Blob blob blob. –
Era Mina , che lo ringraziava. Tobia sorrise e tornò sulla scogliera. Ormai era giorno. Fra poco le mongolfiere sarebbero partite. La gente accorreva. Arrivò anche mamma e tutti e due, seduti uno accanto all’altro, si misero ad aspettare.
Tobia si accoccolò sotto il suo braccio e si addormentò vinto dalla stanchezza della notte insonne.
– Sveglia… sono partite. Guarda Tobia, guarda; che bellooooo!!! –
E mentre mamma parlava e Tobia ritornava in sé, successe l’incredibile. Dalla mongolfiera dai colori di arcobaleno, si vide accendere un bagliore; una piccola scintilla che presto raccolse tutti i colori su di sé e si allontanò volando.
Una farfalla dai mille colori scese planando, giù giù fino a toccare il naso del bambino. Il tempo di un piccolo formicolio, un grazie sussurrato e poi, viaaaaaaaa, Mina volò per sempre libera, nel cielo.