LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA

Stoccolma raccolse il testimone di Londra e organizzò i Giochi della V Olimpiade con grande meticolosità e, potremmo dire, con astuta saggezza. Aver liberato la manifestazione dalle pastoie delle Esposizioni fu la mossa più intelligente mai fatta prima di quella edizione, se si esclude il prologo ateniese del 1896. Le gare furono disputate dal 5 maggio al 22 luglio, una prima contrazione temporale, non ancora decisiva ma importante, rispetto alle precedenti rassegne a cinque cerchi. Di certo, aver ridotto di molto la durata dei Giochi, contribuì ad alzare il livello dell’agonismo e della qualità delle varie competizioni. Fu diminuito il numero degli sport a meno di una ventina e gli svedesi avrebbero addirittura fatto un’ulteriore scrematura se alcuni comitati nazionali non avessero alzato la voce. Il pugilato restò fuori non essendo uno sport gradito ai civili scandinavi. Altre novità furono l’introduzione del cronometraggio elettronico e alcuni concorsi d’arte olimpica, deludenti a dire il vero, dove spiccò l’oro di de Coubertin, conquistato con la poesia Ode au sport. Gli atleti in gara furono 2326, di cui donne solo 53. Le rappresentative che si fronteggiarono in uno spirito di pace e concordia provennero da 27 paesi, con gli esordi importanti di Giappone e della Russia, ancora zarista, che dovrà aspettare ben quarant’anni per riaffacciarsi ai Giochi.

La cerimonia d’apertura del 5 maggio e la dichiarazione d’apertura di re Gustavo consolidarono il  protocollo del cerimoniale assieme alla sfilata delle nazionali. Ad Alberto Braglia toccò l’onore di essere l’alfiere di un’Italia che si presentò in Svezia con 62 atleti. Braglia replicò il successo di Londra, emulato da Nedo Nadi che a Stoccolma iniziò la sua serie di successi olimpici, imponendosi nel fioretto individuale. Furono dunque due gli ori della nostra spedizione che ottenne anche un argento e due bronzi. A livello generale, gli americani recitarono la parte dei leoni nell’atletica leggera e si vendicarono dello smacco subito nei 100 m piani quattro anni prima. Ralph Craig non solo vinse la gara più veloce, ma fece suoi anche i 200 m, firmando una storica doppietta. Vittorie USA anche sui 400 m e sugli 800, dove Hanns Braun ruppe la pingue egemonia di cinque medaglie su sei a stelle strisce, strappando un prezioso argento nei 400 m. Prima dell’avvento degli africani ci furono i finlandesi a dominare la scena delle lunghe distanze su pista e ancora prima di Nurmi e Viren ci fu Hannes Kolehmainen. Riuscì ad imporsi nella doppia distanza dei 5000 m e 10000 m. Nei 5000 m ingaggiò un drammatico duello all’ultimo metro con il francese Bouin, sconfitto per il rotto della cuffia. Per sua sfortuna il transalpino non riuscirà a prendersi la rivincita nelle edizioni successive perché rimarrà ucciso nella battaglia della Marna. Ogni Olimpiade ha un suo protagonista per così dire sfortunato e se a Londra toccò a Pietri essere miseramente squalificato, a Stoccolma non meno diversa fu la sorte che colpì Jim Thorpe. Thorpe, il cui nome nella sua lingua d’origine meskwaki era Wa-Tho-Huk, “sentiero lucente”, vinse l’oro nel pentathlon e nel decathlon, con tanto di encomio da parte di re Gustavo che lo definì “l’atleta più grande del mondo”. Ma i titoli conquistati gli furono ritirati perché aveva partecipato ad alcune partite professionistiche di baseball nella Carolina del Sud. Visse tra le montagne russe del successo e della miseria, diventando un famoso giocatore di football americano e continuando a reclamare quelle medaglie di cui era stato privato, fino al giorno della sua morte. Trent’anni dopo la sua dipartita il CIO restituì le medaglie ai figli dell’atleta americano, un ritardo di ben settant’anni. Il medagliere fu vinto dagli americani, davanti all’ottima performance dei padroni di casa e alla Gran Bretagna.

Tutte le cerimonie furono presenziate da re Gustavo e dai sovrani venuti da diverse parti d’Europa, in un clima di cordiale serenità, quasi a suggellare il successo di un’edizione riuscita sotto tutti i punti di vista.

Ma si trattò di calma apparente e cordialità di facciata.

Il Comitato Olimpico assegnò i Giochi della VI Olimpiade a Berlino, forse con una leggera punta di ottimismo. Basterà un anarchico bosniaco a far precipitare il Continente nella più terribile esperienza bellica della sua storia. Saranno la Marna, Sedan, il Piave, lo Jütland i campi e le piscine nei quali tante esistenze giocheranno non per conquistare una medaglia, ma la sopravvivenza, messa a repentaglio da un’ideologia perversa del sacrificio necessario per la patria e della guerra come igiene del mondo. E così per la prima volta, le Olimpiadi non riuscirono a evitare ciò per il quale erano nate, ossia garantire un periodo di pace a tutti i popoli.