ALLA CONQUISTA DEL PROFONDO WEST

E si arrivò all’edizione numero dieci, quella del villaggio olimpico a due passi dai set cinematografici di Hollywood, dell’innovazione tecnologica del Kirby Two-Eyes Camera per il cronometraggio, che non risolse del tutto i problemi, e del numero ridotto di atleti, vuoi per la lunga traversata oceanica, vuoi per una decisione malandrina del CIO che impose alle rappresentative l’iscrizione di soli tre atleti per gara. Il Black Thursday di qualche anno prima non mise a rischio l’organizzazione dei Giochi che oramai avevano raggiunto quella popolarità che l’altra edizione a stelle e strisce, quella di Saint Louis del 1904, aveva rischiato di stroncare. A Los Angeles il programma olimpico venne definitivamente cristallizzato nelle due settimane divenute poi canoniche, dal 30 luglio al 14 agosto, cosa che già comunque si era intravista in maniera ufficiosa ad Amsterdam.

I Giochi furono aperti dal vicepresidente degli Stati Uniti Charles Curtis e il giuramento degli atleti fu tenuto da George Calnan.

Fu un’Olimpiade di grandi assenze: non ci fu l’Uruguay che aveva vinto gli ori nelle due edizioni precedenti e che non ebbe modo di partecipare in America perché il calcio non fu incluso nel programma olimpico e mancarono il semidio Paavo Nurmi, all’epoca ancora abile arruolabile, e Jules Ladoumègue, il primatista del record mondiale sui 1500 e quindi il primo favorito, squalificati per professionismo.

Gli americani si rifecerò con gli interessi nell’atletica leggera dove The Midnight Express, Eddie Tolan emulò l’impresa di Pierce Williams di quattro anni prima, ma non poté vincere la terza medaglia d’oro nella staffetta 4×100 perché escluso dal quartetto “bianco”, che nonostante nessun coloured frantumò il record mondiale con il tempo di 40 netti, gara nella quale gli Azzurri furono terzi. Nelle gare di velocità, 100, 200 e 400 m, gli americani lasciarono solo briciole agli avversari, due bronzi, uno al tedesco Arthur Jonath nei 100 m e l’altro al canadese Alex Wilson nei 400 m. Ma la grande protagonista della campagna di conquista americana fu Mildred Babe Didrikson, una donna nata per competere in più sport. Vinse gli 80 m a ostacoli e nel lancio del giavellotto e ottenne l’argento nel salto in alto.
Da grande sarà cestista e golfista, fino a poco prima di morire, a soli quarantacinque anni. Gli americani misero insieme ben sedici medaglie d’oro nella disciplina, a testimonianza di una superiorità indiscussa. Chi cercò di tenere testa allo strapotere a stelle e strisce fu la Finlandia che vinse tre ori. Discussa fu la vittoria di Lehtinen nei 5000 m che fu contestata invano dagli americani. Oltre alla vittoria di Volmari Iso-Hollo sui 3000 siepi, arrivò l’ennesimo titolo nel giavellotto con Matti Jarvinen che fece meglio dei due connazionali Sippala e Penttila. Juan Carlos Zabala portò la medaglia d’oro della maratona alla fine del mondo, come oggi direbbe qualcuno, grazie ad una gara fatta sempre nel gruppo di testa.

Buone le prestazioni dell’Italia in pista. Sui 1500 m Luigi Beccali sbaragliò pronostici e concorrenza aggiudicandosi uno storico oro, che fu pure record olimpico. Nella 50 km di marcia Ugo Frigerio salì sul podio salì di nuovo sul podio. Per lui fu bronzo.

Prima di altri memorabili e terrificanti attacchi, il Giappone si rese protagonista di un exploit nel nuoto, dopo che quattro anni prima aveva già fatto vedere di che cosa fosse capace. I nipponici vinsero cinque medaglie d’oro, tra i quali i 100 m sl con Yasuji Miyazaki e  i 200 m sl Kusuo Kitamura, rovinando i piani di dominio americano.

Dopo Los Angeles, l’Italia non riuscirà mai più a piazzarsi al secondo posto del medagliere. Oltre alle medaglie già citate, il merito va attribuito ai successi che vennero dalla ginnastica, dalla scherma e dal ciclismo. Guidati dal leggendario Alberto Braglia, gli Azzurri nella ginnastica vinsero con Romeo Neri il concorso individuale e le parallele simmetriche, il concorso a squadre e il volteggio con Savino Guglielmetti, piazzandosi dietro soltanto agli Stati Uniti per quanto riguarda i titoli vinti. Nella scherma Giancarlo Cornaggia-Medici fu primo nella spada e Gustavo Marzo vinse il titolo nel fioretto. Attilio Pavesi, oro nella prova in linea davanti a Guglielmo Segato, aiutò la squadra Italiana a vincere la corsa a squadre di ciclismo. Un altro oro arrivò dell’inseguimento a squadre. Infine nel tiro, nella specialità da 25 metri, lo sceriffo Renzo Morigi fece 42/42, lasciando stupefatti gli spettatori americani. Domenico Matteucci si piazzò invece al terzo posto.

Alla fine l’Italia conquistò dodici ori, dodici argenti e dodici bronzi, un bottino che non procurò nessun attacco di isteria al Duce.

L’edizione americana fu l’ultima vissuta in un clima di pace relativa. Su questo orizzonte sereno e di sole, ombre fosche già si addensavano sull’Europa, avvicendamenti politici che avrebbero avuto il potere di destabilizzare il Vecchio Continente. Ma prima che l’Europa e poi il mondo cadessero a picco in un baratro di angoscia e terrore, ci fu tempo per un altro spettacolo, non meno sorprendente e appassionante dei precedenti.


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Vincenzo Pastore è un insegnante di Religione. Nel 2006 ha conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Facoltà Teologica Pugliese. Al titolo teologico aggiunge la laurea magistrale in Relazioni Internazionali. Ha pubblicato in self-publishing due racconti brevi, Adriatica '98 (2020) e Ceneri e Cantoni (2022). Nel 2022 ha pubblicato con Abelbooks Pijan Paša. La kafana della famiglia Marković.