LONDRA SALVA I GIOCHI

Fu Roma la città scelta per ospitare i Giochi del 1908. Un connubio ideale tra la modernità degli sport in crescente espansione durante gli inizi del XX secolo e le testimonianze di un passato ormai glorioso che rendevano unica la scelta della capitale italiana che, per mano di Teodosio, aveva rotto la continuità delle antiche Olimpiadi. Pensare di poter disputare la rassegna olimpica ai piedi del Colosseo e all’ombra del Cupolone rendeva felice il Barone, e non solo, che finalmente avrebbe visto la sua creatura lontana dallo spauracchio minaccioso delle Esposizioni internazionali. Purtroppo le cose presero una piega diversa.

L’Italia non fu in grado di sobbarcarsi l’onere di una manifestazione di tale fattura e l’eruzione del Vesuvio del 1906, che compromise ulteriormente le cose, convinse lo Stato a rinunciare all’organizzazione dell’evento.

Si propose a questo punto la Gran Bretagna con la candidatura di Londra che riuscì ad ottenere i Giochi e a organizzarli nel giro di due anni. Anche in questo caso, le Olimpiadi furono associate ad un’esposizione, quella franco – britannica che celebrava l’intesa amichevole tra i due Stati, ma la kermesse olimpica sopravvisse all’ingerenza della manifestazione fieristica. Furono costruiti una piscina, che prese il posto delle avventurose nuotate in fiumi e laghi, e un nuovo stadio per l’occasione, il White City, capace di contenere fino a settantamila spettatori. Le nazionali rappresentative, che si sfidarono nelle competizioni dal 27 aprile al 31 ottobre, furono 23, compresa l’Italia, la cui spedizione fu costituita da 67 atleti. Globalmente, rimase ancora esiguo il numero delle donne (44 su 1980 atleti).

Si tornò al cerimoniale di Atene con l’apertura dei Giochi affidata a re Edoardo VII, un segnale incoraggiante dopo deludenti edizioni.

Gli americani furono assoluti protagonisti nei lanci in pedana: John Flanagan nel martello aggiunse, all’oro di Parigi e Saint Louis, quello di Londra, mentre il connazionale  Matt Mc Grath, che sarà presente addirittura fino ai Giochi del 1924, ottenne la seconda posizione; Martin Sheridan, per il Times uno dei più grandi atleti della storia a stelle e strisce, vinse nel disco. Gli americani però conobbero la prima grande delusione nei 100 metri, gara spesso a loro appannaggio, che furono vinti dal sudafricano Reginald Walker.

Forrest Smith fu oro nei 110 metri ad ostacoli. Corse la sua gara tenendo stretta nella mano sinistra una Bibbia poiché la corsa si disputò di domenica.

Se gli americani furono i dominatori incontrastati dell’atletica, nel nuoto Henry Taylor conquistò tre dei quattro ori con i quali la Gran Bretagna vinse il medagliere della piscina.

Soddisfazioni le ottenne pure l’Italia, i cui atleti parteciparono grazie ad alcuni aiuti economici statali. Due furono gli ori: quello del milanese Enrico Porro nella lotta greco – romana e quello del “garzone di Modena” Alberto Braglia nella ginnastica.

Ma l’Olimpiade di Londra passerà alla storia per la vittoria, che tale non fu per squalifica, di Dorando Pietri, divenuto più famoso di Johnny Hayes, colui che vinse sub iudice l’oro nella maratona. Gara bizzarra, si dirà, quella che partì dal castello di Windsor intorno alle due e mezza in un pomeriggio relativamente caldo di fine luglio. Dei 55 partecipanti arrivarono solo in 28. Dai britannici ci si aspettava una vittoria, così gli atleti si Sua Maestà imposero alla gara un ritmo alto, tale da far registrare con Thomas Jack la partenza più veloce di sempre. Tuttavia lo scozzese non riuscì a tenere il passo. Tom Longboat, era uno dei favoriti. Lungo la via si fece passare dello champagne che lo mise a gambe all’aria sul prato e lasciò il passo a Charles Hefferon e al nostro Dorando Pietri. Il sudafricano fu raggiunto a pochi chilometri dall’arrivo dall’italiano che concluse la sua rimonta. Pietri entrò in solitaria nello stadio, dove fu accolto dal boato della folla londinese. Gli ultimi 500 metri furono per Pietri un vero e proprio calvario, nei quali impiegò una decina di minuti per arrivare alla fine. A ridosso dell’arrivo, in uno stato di incoscienza e privazione fisica, Pietri venne aiutato a varcare la linea dell’arrivo da uno degli ufficiali. Subito dopo la gara partì la richiesta di squalifica da parte degli statunitensi che consentì ad Hayes di vincere l’oro più ignorato della storia dello sport. Più che dello statunitense, la gente e gli annali si ricorderanno di Dorando Pietri che, dopo aver rischiato addirittura la pelle, ricevette  una coppa da parte della regina Alessandra, che aveva vissuto empaticamente la fatica dell’emiliano nello stadio. Arthur Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, fece partire una petizione in favore del nostro atleta che divenne una vera e propria celebrità. Dirà Pietri anni più tardi: “io sono colui che ha vinto e ha perso la vittoria».

Fu una gara davvero particolare quella maratona che resterà nella memoria di Olimpia. Eravamo ancora ai primordi delle gare lunghe e non si sapeva molto di alimentazione pre gara, con atleti che ingurgitavano alcolici e stricnina lungo i 42 chilometri, seguendo diete senza alcun beneficio, prive di liquidi.

Londra ebbe il merito di porre al centro dei Giochi lo sport, cosa che non era avvenuto nelle ultime due edizioni, sacrificate e soffocate dalle Esposizioni universali che avevano messo a rischio il proseguo. Dalla cattedrale di Saint Paul il vescovo Talbot lasciò in eredità ai Giochi di Londra e del futuro questa massima : “l’importante non è vincere, ma partecipare”.