MATRICOLE E CAMPIONI

Dopo essere stata per due volte preferita ad altre città per motivi diversi, Amsterdam riuscì a organizzare la sua Olimpiade. Come abbiamo visto negli episodi precedenti, nel 1920 Anversa fu scelta come città simbolo della ripartenza dopo il primo conflitto mondiale, mentre nel 1924 il Barone de Coubertin fece in modo che Parigi celebrasse il trentennale della nascita del CIO. Ne ebbe di tempo la città olandese per preparare al meglio l’edizione numero nove, che presentò delle notevoli novità, a partire dalla durata dei Giochi, concentrati in due settimane, formula che sarà poi ripetuta sino ai nostri giorni. Fece eccezione il torneo di calcio che iniziò prima. L’Italia si piazzò al terzo posto, dietro all’Argentina che cedette all’immenso Uruguay dei fenomeni, il quale due anni più tardi avrebbe battuto di nuovo l’Albiceleste nella prima storica finale della Coppa Rimet, il Mondiale per intenderci.

In Olanda le rappresentative ai nastri di partenza furono quarantasei, un record che superò addirittura il numero degli Stati iscritti alla Società delle Nazioni (quarantaquattro), segnando dunque un successo in materia di popolarità e gradimento. Ad Amsterdam le nazionali sfilarono secondo un ordine rimasto poi immutato, con la Grecia ad aprire la parata di bandiere e atleti, chiusa poi dal paese ospitante, in questo caso i Paesi Bassi. Nonostante l’ampia partecipazione delle nazionali, Amsterdam 1928 fece registrare una diminuzione del numero complessivo degli atleti: 2868 contro i 3070 circa dell’edizione parigina.

Ad aprire i Giochi il 17 maggio fu la dichiarazione del principe Hendrik d’Olanda che fece le veci della regina, impegnata in un viaggio ufficiale. Un’altra grande novità delle Olimpiadi olandesi fu l’ammissione delle donne nelle gare della disciplina regina, l’atletica, che aiutò a raddoppiare la cifra delle partecipazioni rosa rispetto all’edizione precedente. La prima donna medagliata con l’oro di Olimpia fu Halina Konopacka nel lancio del disco. Ritornando alle rappresentative in gara, fece finalmente il suo ritorno ai Giochi una Germania dalla democrazia pericolante ma ancora lontana dalla morsa del nazionalsocialismo di Hitler, accompagnata da un buon numero di compagini asiatiche, tra cui spiccò la prestazione del Giappone, di cui parleremo a breve. Ancora assente volontaria l’Unione Sovietica.

Nell’atletica Nurmi si congedò con la nona meraviglia d’oro, sui 10000 m, e due preziosi argenti, consegnandosi all’eternità olimpica. Il suo antagonista in patria, Vilho Rotola, ad Amsterdam ottenne il suo quinto oro sui 5000 m, non male per chi ha dovuto vivere all’ombra del divino Paavo. Gli americani steccarono in parte nell’atletica e nel podio della gara più veloce non figurò nessun atleta a stelle e strisce. Percy Williams fece doppietta 100 e 200 m per il Canada, che dovrà poi aspettare sessantotto anni per vedere sventolare la propria bandiera sul podio più alto. Ad attutire la delusione ci pensarono la Robinson, primo oro sui 100 m femminili e i successi nei concorsi di lanci e salti. Gli americani riuscirono comunque a confermarsi primi nel medagliere della disciplina, ancora una volta davanti ai finlandesi. Tra i protagonisti delle Olimpiadi due francesi: Jules Ladoumègue, primatista del mondo sui 1500 m due anni più tardi e tra i più amati atleti transalpini, ma battuto ad Amsterdam dalla dittatura finnica, rappresentata da Harry Larva, e il vincitore della maratona, Bughera El Ouafi, franco – algerino che vinse l’oro e che anticipò l’ascesa degli atleti africani sul mezzo fondo e sul fondo. Nell’atletica stupì l’oro nel salto triplo  di un giapponese di Hiroshima, Mikio Oda, con un salto di 15,21 centimetri. Giapponesi, dunque, in mostra anche nel nuoto con l’oro di  Yoshiyuki Tsuruta sui 200 m sl, l’argento nella staffetta 4×200 vinta dagli statunitensi e il bronzo di Katsuo Takaishi, nella gara dove si riconfermò il fenomeno della vasca Johnny Weissmuller che guiderà la nazionale a stelle e strisce a primeggiare anche nel medagliere del nuoto.

Nonostante le paranoie del Duce che silurerà il presidente del Comitato olimpico nazionale per prestazioni a dir suo scadenti, l’Italia ben figurò anche ad Amsterdam, vincendo sette medaglie d’oro, cinque d’argento e sette di bronzo, piazzandosi al quinto posto. Azzurri primi nel pugilato con gli ori conquistati da Vittorio Tamagnini nei Pesi gallo, Carlo Orlandi nei Pesi leggeri e Piero Toscani nei Pesi medi. Nell’inseguimento a squadra fu di nuovo oro, quattro anni dopo Parigi, confermando il buon feelingdella disciplina con i cinque cerchi. Non tradì la scherma che, nonostante la mancanza di titoli individuali, vinse due ori nel concorso a squadre della spada e del fioretto. Infine oro fu il Quattro con maschile nel canottaggio, a cui si aggiunse il bronzo nel Quattro senza. Come non citare l’argento nel concorso a squadre delle ragazzine della ginnastica.

Il medagliere complessivo dell’edizione numero nove fu vinto ancora dagli Stati Uniti che furono seguiti dai tedeschi, da Finlandia e Svezia. Poi ci fummo noi, e nonostante le isterie del Duce, non andò così male.