«Potrebbe essere proficuo staccarsi dall’abitudine di star ad ascoltare soltanto quello che risulta subito chiaro»

(Martin Heidegger)

L’altro giorno sono rimasto colpito da una frase di Gianluca Gotto nel suo libro La pura vida. Cito a memoria: vivere zen significa essere spontanei senza sforzarsi di essere spontanei.

Mi è piaciuta. Mi ha fatto pensare all’arte dell’accettazione con gratitudine, al concetto – quello autentico e presumo sconosciuto a molti – dell’obbedienza cristiana. Oppure all’azione non-agente che Simone Weil aveva colto nel pensiero taoista e buddista.

Non la voglio fare pesante, perciò taglierò corto. O almeno ci provo!

Hai respirato stamattina? E ci hai fatto caso? Se hai risposto sì alla prima domanda e no alla seconda, allora ti sei già fatto un’idea di cosa significhi vivere senza sforzo. Hai respirato, un’azione spontanea che ti tiene in vita, e a cui fai caso solo quando ti manca l’aria.

Non intendo fare il panegirico della spontaneità. Ci sono tante azioni spontanee che non vanno bene. È spontaneo uno scatto di ira, il delirio di un ubriaco, un atto di violenza, lo sballo di uno che si è fatto. La spontaneità, dunque, non è di per sé sinonimo di autenticità. Ma è di sicuro un buon primo passo verso di essa. E verso una libertà obbediente e grata a ciò che di meraviglioso ci accade e non avevamo previsto.

Vado avanti. Ci sono altri “atti spontanei” a cui spesso non facciamo caso. Tipo prendersi cura di chi si ama. Tipo “praticare atti di gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso”. Perché lo si sente proprio dal di dentro che, quando facciamo qualcosa di buono per chi si ama, lo si fa anche per se stessi. Detto altrimenti: ci si prende cura di sé perché l’Amato o l’Amata sia felice nel vederci felici.

È una ragionevole follia d’Amore? Sì. Ma non è proprio questo, l’Amore? E non è spontaneo?

Mio padre, di certo, lo è stato: fumava tre pacchetti di sigarette al giorno, mia mamma gli disse di essere in attesa di me. Lui, presa la stecca di sigarette, la buttò nel cestino e smise “spontaneamente” e istantaneamente di fumare. Si prendeva cura di me e di mia mamma, si prendeva cura di sé. Ci amava tutti e tre.

Una cosa seria, la scelta di mio padre. Che implica un’altra capacità: quella di cogliere i “segni” che la Vita, o Dio, o in qualsiasi altro modo lo si voglia concepire e chiamare, a profusione ci manda.

Come sui giornali di enigmistica, un disegno si compie pur essendo costituito da una serie di numeri infiniti, che alcune volte si uniscono facilmente tracciando una linea dritta, altre volte richiedono intrecci di inchiostro che sembrano stravolgere il senso del bozzetto e, invece, ne rappresentano i dettagli migliori.

Provo a spiegarmi: può succedere che i puntini del disegno ci portino da una buia, solitaria e triste vicenda a un cielo blu che dona incontri e gioie condivisibili. Che giro contorto serve fare per unire puntini apparentemente così distanti?

Bene, io credo che per rispondere a questa domanda, sia sufficiente obbedire alla Vita – di nuovo: dovrei forse dire “a Dio”? – che sa sempre come illuminare la strada: basta crederle o credergli!

Ed ecco che tra i puntini, su quel disegno, spuntano linee tratteggiate a fare da guida, un po’ come quelle che si trovano sui quadernoni di scrittura in corsivo; tratteggi che invitano a intraprendere la direzione giusta, a cedere il passo alla strada, anche quando sembra quella più stramba, ad attraversarla, fidandosi. Come se fosse semplice. Come se ci venisse spontaneo: perché ciò che nasce come spontaneo diventa autentico quando si sceglie di vivere con passione, di esserci, di starci dentro, di non ritrarsi.

In settimana, in un seminario di formazione presso l’Università di Messina, un mio amico e collega, Giovanni Galvagno, ha tirato in ballo il “Da sein” di Martin Heidegger. Ho avuto un sussulto per i vari déjà vu che mi ha scatenato dentro. “Da sein”: in italiano potremmo appunto provare a renderlo con “esserci”. Essere lì. Essere presenti. Ma presenti davvero, con il cuore ed il suo chakra, con il corpo dentro e fuori dal guscio. Tutti per intero. Non a metà. Non trattenuti. Vivi. Esistendo di più.

Caro lettore, adorata lettrice,

hai l’emicrania dopo questo viaggio pazzo tra una miscela di riflessioni storte? E come darti torto? Sarebbe una reazione spontanea. Come spontaneo, pulsante e autentico è il mio Grazie per Te: un grazie infinito quanto un Cielo Blu.

Jean-Baptiste Massieu: «La gratitudine è la memoria del cuore».

Matsuo Bashō: «Non cercare di seguire le orme dei saggi. Cerca ciò che essi cercavano».

John Lennon : «Life is what happens to you while you’re busy making other plans – La vita è ciò che ti accade mentre tu sei impegnato a fare altri progetti».


FontePhotocredits: Paolo Farina
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

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