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Speriamo di non sperare troppo…

Caro Direttore,

eccomi pronto ai tuoi ordini. Interrompo gli ozii delle Feste e scrivo, anche se non so bene da dove cominciare. Mi faccio allora venire una idea forse banale, forse no. Comunque mi assumo il rischio. Manca qualche ora all’anno che verrà, il 2018, anno che accompagnerà la mia classe liceale ai 70. Ci tocca. Bene. Una volta, fino a mezzo secolo fa, i 70 erano la vecchiaia, l’inizio della fine, nel migliore dei casi (salvo dna da centenari…). Adesso, grazie a Dio, anche i centenari o quasi hanno diritto alla parola e, soprattutto, diritto alla speranza, figurarsi quelli di 70. Allora ne approfitto per dire il mio diritto alla speranza, in questo piccolo e improvvisato decalogo.

Come si fa con la Befana, chiedo al 2018, alcuni regali che mi farebbero assai bene.

1) Spero che la prossima campagna elettorale non sia un prontuario di stupidaggini o, peggio, di illusionismi.

2) Spero che il popolo non si fidi di chi ha soluzioni semplici per problemi complessi e talvolta antichi.

3) Spero che si riescano a neutralizzare almeno un po’ le conseguenze disastrose dei cosiddetti social che ormai sono una mareggiata nera.

4) Spero che quando si parla di cose serie (Europa, lavoro, immigrazione, sanità…) si dia ascolto a qualche buon libro più che agli agitatori un tanto al mese.

5) Spero che i giornali (o quel che ne resta) ci diano ogni tanto qualche buona notizia: il mondo non è tutto uno schifo…

6) Spero che i giovani sostituiscano i padri dimostrando di essere migliori (principio spesso disatteso).

7) Spero che anche i non credenti guardino alla religione come valore che aiuta le Comunità a vivere meglio.

8) Spero di vedere il prossimo anno a Natale qualche Spelacchio in meno e qualche bel Gesù bambino in più (sto con Bergoglio).

9) Spero che non tornino neanche nei simboli le ideologie di morte sconfitte dalla storia e dagli uomini che hanno messo in gioco la propria vita.

10) Spero di non sperare troppo…

Buon anno a tutti.


Fontehttps://c1.staticflickr.com/3/2558/4047982682_daf2b1ae70.jpg
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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).

2 COMMENTI

  1. Antonio, mi scuserà per la confidenza, ha colto nel segno. Mai visto o sentito un decalogo così semplice e d’impatto. Se solo anche la metà delle cose “chieste” si avverasse cominceremmo ad assaporare in altro modo quello che viviamo. Bello il desiderio dei “meno social”, dei libri in più da leggere per sostituire le parole farneticanti di chi da adesso e fino a marzo ci “romperà”…. etc, etc, … un abbraccio.

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