
Si intitola “Sono tornata” (Another Coffee Stories Editore), il nuovo “libro di poesie” di Libera Martignetti. Tornare da un luogo mai dimenticato, contenitore di molteplicità e complessità. Un luogo che si racconta in tanti piccoli frame, come un viaggio in cui le parole diventano immagini. Nessuno è puro e neppure intatto. Davanti allo specchio, come davanti a fogli bianchi, possiamo capire quanta verità riusciamo a tirar fuori.
Ciao, Libera. Perché preferisci definire la tua opera “libro di poesie”, anziché “silloge” o “raccolta”?
Io non ho mai amato particolarmente il termine ‘silloge’, ha a che fare direttamente con ‘raccolta’, altra definizione che non amo perché associata al concetto di ‘insieme di’…il ché può andar anche bene ma non in questo caso. “Sono tornata” non è una raccolta, un insieme di poesie tra loro scollegate. È concepito fin dall’inizio come un libro scritto in poesia, una sorta di racconto, come un unicum. Tutto ha senso nell’insieme oltre che nel particolare.
“Sono tornata” è sinonimo di rivoluzione ed incompiutezza. Sarebbe giusto affermare che, solo quando si torna in se stessi, si è pronti a nuovi ed ignoti viaggi?
Paradossalmente “Sono tornata” non è un punto di arrivo. Noi siamo in divenire e non esistono mai nella vita punti di arrivo assoluti, ogni cambiamento è una rivoluzione, è una ricerca costante, è superare le linee. È necessario per me tornare a se stessi, anzi partire da lì, conoscere chi siamo e cosa sentiamo nel momento in cui lo sentiamo. Essere qui e ora. Siamo sempre alla ricerca di una perfezione che non esiste, cerchiamo di definire la purezza, ecco, io racconto che nulla è certo, puro, definito, compiuto…partendo da sé riusciamo a vivere quell’indefinibile che rende il caos comprensibile e quando sperimentiamo la fragilità dell’essere per nostra natura imperfetti riusciamo anche ad essere di aiuto per gli altri, a vivere in pace. La poesia è secondo me il mezzo migliore per farlo, parla attraverso la nostra personale percezione contemporaneamente alle dimensioni di ognuno, è intima e popolare al tempo stesso.
Nomen omen. In che modo la Donna di oggi si riscopre “libera”?
Ho sempre amato il mio nome, non è un mistero. Ne ho fatto il mio manifesto, il senso del mio cercare. Essere donna al Sud, lo sappiamo, spesso è in antitesi con l’essere libera. Ho incontrato persone, anche molto vicine, che non sono mai riuscite a chiamarmi per nome, hanno dovuto utilizzare nomignoli, forse per la difficoltà che spesso si ha nel comprendere davvero che essere liberi è uno stato vitale; ho dovuto ‘scendere’ le scale del non libero per risalire con l’Io libero, mi sono tratta in salvo. È stato faticoso, doloroso e meraviglioso! La prima volta in cui mi sono scoperta libera è quando ho usato le parole. Le parole sono state per me il mezzo! La tua è una domanda molto importante. Oggi soprattutto, in un momento storico in cui è necessaria la consapevolezza, sentirmi libera mi dà diritto a non utilizzare filtri per raccontare il vero, a non evitare la verità. Nessuno può dare la libertà, si conquista la consapevolezza di essa e spesso quando arriva questa consapevolezza qualcuno spaventato reagisce male. Sicuramente quello di cui parlavo prima ha senso proprio per questo motivo: solo attraversando gli strati di chi siamo, come dicevi tu, tornando in se stessi, si intraprende davvero questo percorso. Liberi di essere chi siamo, non lo vogliamo tutti?
Progetti futuri?
Tendo sempre a complicarmi la vita, e non sto mai ferma! Ho imparato, conoscendomi che il mio è un bisogno vitale, per cui non posso che sperimentare continuamente e cambiare. Ho moltissimi progetti tra cui riprendere il teatro, un altro libro già in cantiere, passare dalla pittura alla scultura.