Tra ebrei e cinesi…

Ultimamente mia figlia ha ricevuto molti vestiti nuovi, ma non glieli abbiamo comprati né noi genitori né i nostri parenti.

Questi vestiti (nella foto se ne vede solo una parte) sono il regalo di una studentessa di mia moglie, precisamente un’ebrea americana.

In realtà non è l’unica ad averci regalato qualcosa che non andava più ai loro figli ormai cresciuti, ma la cosa mi ha dato uno spunto di riflessione, che in realtà non dovrebbe essere necessaria, ma purtroppo a volte sembra che lo sia.

Tra i vari stereotipi sugli ebrei c’è anche quello della loro avidità (spesso scusa aberrante per giustificare l’avidità di chi invece voleva appropriarsi dei loro beni),ma ho avuto diverse occasioni qui a Pechino di testarne la generosità, come quando un’altra famiglia ebrea (un’altra studentessa di mia moglie con marito e due figli) ci hanno invitato al ristorante ebraico di Pechino con tanto di visita guidata al loro centro culturale (vedi foto).

Un esempio come tanti per dimostrare ulteriormente, anche se non ce ne dovrebbe essere bisogno, che gli stereotipi sulle popolazioni sono quasi sempre insensati, che si tratti di ebrei, africani, cinesi o slavi, e che ogni individuo, per quanto influenzato dalla propria cultura d’origine, può essere onesto, generoso, bugiardo o delinquente a prescindere dall’etnia di appartenenza.

Un altro aspetto che vorrei sottolineare è che gli studenti della mia consorte sono tutti americani, aspiranti diplomatici i cui studi sono finanziati dal governo americano, e si tratta di corsi in cui ovviamente non si studia solo la lingua, ma anche gli aspetti culturali della Cina, con l’organizzazione di eventi che facilitano l’instaurazione di un bel rapporto fra docenti e allievi.

Insomma, quello che non riescono a fare i politici, lo fanno le persone comuni, che vedendo gli altri come esseri umani, e la cultura altrui come qualcosa di interessante e arricchente, sono capaci di gesti di solidarietà e umanità che fanno sperare.

Per concludere, mentre scrivo queste righe, dalla scuola media situata di fronte a casa mia mi arrivano le note, da qualche mese ormai, del famoso coro da stadio “Ohlelè Ohlalà, faccela vedè, faccela toccà”.

No, non sto scherzando, e non si tratta della versione cinese del coro, ma proprio quella in italiano, utilizzata durante l’ora di attività fisica e di gruppo (molto frequenti nelle scuole cinesi), e probabilmente, ignorandone il significato, il brano è stato scelto per il ritmo adeguato all’attività, anche se non riesco a capire come abbiano fatto a selezionarlo.

La prima volta che l’ho sentito, dopo qualche attimo di stupore, il mio primo pensiero è stato quello di andare a scuola e avvisarli del significato di quel coro, ma poi ho rinunciato.

Perché? Per solidarietà ovviamente. Solidarietà per chi ha deciso di far ascoltare ai ragazzi quel brano, visto che sicuramente sarebbe incappato in provvedimenti disciplinari se il preside della scuola fosse venuto a conoscenza del fatto che un coro dal significato osceno fosse stato fatto ascoltare a dei ragazzini tra gli undici e i quattordici anni. Che continuino ad ascoltarlo, chissà se un giorno qualcuno tra i docenti, gli alunni e i genitori verrà a conoscenza del significato.