
<Buon pomeriggio, Trillian. Iniziavo a domandarmi quando ti saresti accorta di non star parlando col tuo cartello. Che, a proposito, credo si sia stufato della sua vita. Troppo piatta e monotona.>
<Lo fa spesso, se ti riferisci alle sue fughe. Credo abbia visto troppi film romantici, pieni di porte che sbattono e pianti sul divano. È impossibile che il tuo Dexmac ti suggerisca quelle cose da dire. Hai deciso di dare fondo alle tue riserve di crediti proprio oggi?>
<L’ho scollegato>
<Di nuovo? Come a scuola? Di qui a poco i Dexmac limitrofi inizieranno a lagnarsi e attirerai dell’attenzione indesiderata. Ho roba poco legale nei cassetti, non ci conviene.>
Ogni 10 minuti, infatti, ogni umano aveva la possibilità di effettuare una scansione locale, nel raggio di 50 metri, in cerca di malfunzionamenti nei Dexmac vicini. I Dexmac si spegnevano solo in caso di morte del proprietario o di sua condanna giudiziaria; da spenti, un’antenna al loro interno – che funzionava grazie ad una minuscola dinamo elettromagnetica, con autonomia pressoché illimitata – reagiva alle onde magnetiche di ricerca inviando al Dexmac mittente un pacchetto contenente coordinate GPS, codice ID utente e svariati dati tecnici del Dexmac morto. Il tutto veniva poi inoltrato al server più vicino che provvedeva ad allertare le autorità. Un Dexmac spento di conseguenza designava necessariamente una grave anomalia da risolvere quanto prima. Incaricati di risolvere queste anomalie erano degli appositi addetti che venivano chiamati immediatamente dopo un risultato positivo alla scansione. Una volta arrivati sul posto, gli addetti si dirigevano verso il Dexmac spento e provvedevano a sistemare la faccenda: disfarsi del corpo in caso di morte o arrestare il fuggitivo in caso di condanna pendente. Purtroppo, dato l’irrisorio tasso di criminalità, quasi più nessuno si prendeva la briga di avviare ricerche.
<Si, di nuovo. A scuola è successo per sbaglio, ma questa volta l’ho volontariamente disattivato. Basta lacrimare un po’ che quello per qualche decina di minuti si disattiva>
<Bravo, coraggio da vendere, ma adesso? Liberarti del Dexmac è tanto pericoloso quanto stupido considerando che non può che aiutarti a vivere più facilmente e agevolmente, risparmiandoti di pensare alle cazzate>
<Risparmiandomi di pensare alle cazzate? Se devi pensarci su anche solo un secondo, significa che non è una cazzata. Qual è il bello di non scegliere? Dove sta il divertimento? Che gusto c’è?> e si guardò intorno, in quella stanza stereotipata cui mancava solo un filtro Lo-Fi per renderla a prova di spot pubblicitario. Quella camera aveva un forte odore di profumo alla fragola. Trillian lo stava guardando ora con lo sguardo corrucciato, aria di sufficienza, quasi compassione.
Arthur si avvicinò a lei e le consegnò un bacio sulla guancia destra. Era un gesto anomalo: alcune parti del corpo, tra le quali le guance, erano precluse ai contatti non autorizzati. Si poteva toccare quelle zone solo previo accordo dei due Dexmac, quello del toccante e quello del toccato; il Dexmac in questo modo impediva violenze e stupri, nonché cuori infranti.
Trillian rimase pietrificata per qualche secondo, poi sbatté le palpebre due volte e si portò la mano destra a sfiorare quella zona umidiccia sul volto. Abbassò lo sguardo, le labbra chiuse per metà. Il suo respiro si fece pesante, gli occhi chiedevano scusa. Fece un passo indietro.
<Il bello di non scegliere.. è che non avrai scelto tu di sbagliare> sentenziò, poi si voltò.
Un gesto tanto eloquente lasciava poco spazio all’immaginazione per Arthur. Riaprì il cancello solleticando quel citofono permaloso, dopo aver socchiuso il portone d’ingresso e sceso svogliatamente le scale.
Ora si ritrovava ad ammirare un cielo color rosso scuro, naso all’insù. Non aveva nulla da dire quel cielo, adesso. Era vuoto, pur se fantastico. Aveva la netta impressione di aver mancato l’occasione della sua vita e che da adesso la sua esistenza sarebbe stata vuota e insapore, senza Trillian. Ogni umano ha la sua possibilità di spaccare il mondo in due, di lasciare il segno, di rompere le regole e farla franca. Lui s’era appena creato e distrutto la sua possibilità. E tutto per un capriccio. Cosa voleva mai trovarci fuori dal Dexmac? Non lo sapeva, voleva scoprirlo e non si aspettava che la sua scoperta sarebbe stata tanto tragica. Tanto tragicamente ottusa la sua ostinazione.
Guardò un’ultima volta in direzione della guglia facendo ordine tra i rimorsi, dopodiché si decise ad andare. Li sentiva distintamente i suoi polmoni riempirsi di aria e sapeva che quel gesto meccanico ora alimentava un’anima spenta, una vita inutile.
Non volle aspettare che il Dexmac tornasse operativo per incamminarsi, forse non ci pensò nemmeno. Si avviò alla volta di casa sua. Passo dopo passo – dei lentissimi passi – aveva l’ardore di contemplare quel fiume vuoto di pensieri che ormai non popolava più la sua mente. Era il momento di fare due conti: chi è che aveva ragione tra lui e Trillian? Drammaticamente, Trillian. Prendere in mano la sua vita per appena 10 minuti l’aveva portato a sbagliare tutto ciò che poteva sbagliare. Si sentiva agitato, non mescolato. Continuava a rappresentarsi il replay della conversazione appena avuta, come faceva ogni volta in quei casi. Pessima idea quella di iniziare con una triste verità, magari avrebbe dovuto azzardare un “se vuoi posso aiutarti io, altro che quel tutorial!”, la giusta via di mezzo tra le sue capricciose abitudini e il modo normale di fare le cose. Ma a che serviva ripensarci adesso? Basta, doveva pensare al futuro, anche se in questo momento era più incerto che mai. Allora si doveva pensare a qualcosa di più vicino, tipo quei due militari davanti a lui che gli si avvicinavano con un cane. Si, erano proprio diretti nella sua direzione. Non proprio un buon segno.
Persino quei due che passavano per strada lo guardavano perplessi, come se sapessero cosa avesse fatto. Sapessero che con la sua testardaggine avesse sprecato una scintilla che sarebbe potuta diventare un gran bel fuoco. Che strano, anche quell’altro tizio col cane lo guardava come se Arthur stesse bevendo il caffè con la cannuccia. Per quanto possibile anche il suo Dexmac sembrava evitarlo – sarà perché non s’era ancora riacceso. Sarebbe dovuto essere questo il suo problema, adesso, resuscitare il Dexmac prima che qualcuno scoprisse del fattaccio. Purtroppo per lui, questo pensiero lo sfiorò quando era ormai troppo tardi. I due militari l’avevano già immobilizzato per terra, gli stavano parlando.
<Lei, Arthur Dent, è in arresto per aver commesso crimini contro l’umanità, nella fattispecie ha tentato di sguinzagliare la sua ancestrale irrazionalità umana contro la popolazione terrestre, ben conscio dei pericoli che una mente non responsabilizzata da un Dexmac pienamente operativo possa comportare per il prossimo. È per altro accusato di aver manomesso il suo Dexmac per intenti sovvertitori dell’ordine. Di conseguenza verrà giudicato presso il più vicino checkpoint ministeriale, a meno che non voglia renderci il lavoro più semplice ed ammettere le proprie colpe qui e subito.>
Le proprie colpe le riconosceva eccome: era stato un totale imbecille ed era stato ben consapevole del suo scarso buon senso nell’ultima mezz’ora. Doveva confessare. Anzi, no, aveva imparato la lezione: doveva lasciare decidere al Dexmac, riabilitato forzatamente dai militari.
/ Riconosco le accuse come veritiere e mi dichiaro colpevole oltre ogni grado di giudizio, in piena osservanza con i precetti che garantiscono l’ordine nel nostro Paese. (consigliato) / Le accuse che mi sono rivolte non corrispondono al vero. Richiedo un processo presso un checkpoint per l’analisi della mia cronologia di azioni e il conseguente giudizio. /
Era il misf che cercava.
<Riconosco le accuse come veritiere e mi dichiaro colpevole oltre ogni grado di giudizio, in piena osservanza con i precetti che garantiscono l’ordine nel nostro Paese.> sillabò, in un tono di voce fiero e rinfrancato.
<Bene, vedo che collaboriamo. La aspettano dieci anni di riabilitazione al libero arbitrio, lo sa, vero? Vedrà, passati i primi dieci anni, starà molto meglio, oppure non starà affatto. Ahahahahahaha, questa l’avevo pronta in canna da oramai tre anni, iniziavo a pensare che non avrei più potuto usarla. Piaciuta, eh, Brandom?> concluse, tra una goffa risata e l’altra, mentre il suo collega provvedeva a disabilitare Arthur e scaricarlo nella cabina di teletrasporto più vicina.
<Signor Arthur, ma come mai.. ehmm.. non ha aspettato che il suo Dexmac ripartisse? È stato proprio uno scemo ad andarsene in giro così irresponsabilmente. Avrebbe anche potuto evitare la cattura se avesse usato almeno uno dei neuroni che le era rimasto, dopo aver spento il Dexmac.> chiese Matt, sbattendo una mano sul tavolo a fine frase.
<E chi è stato ad avviare la ricerca per Dexmac fallati? L’ha poi saputo?> sopraggiunse Rob.
A lezione di storia erano tutti impazienti di interagire col personaggio storico odierno. Era Arthur Dent, un vecchio saggio scampato alle insidie di quel che restava della sua natura umana. Aveva avuto la forza di opporsi al suo cieco volere istintivo, che l’aveva portato per qualche minuto a scollegare il suo Dexmac e a violare una ragazza, prima che egli stesso si rendesse conto dell’errore compiuto e riconoscesse le sue colpe, accettasse la condanna alla riabilitazione e si convertisse ad educatore. Era un esempio per tutti, oggi, a dieci anni dalla sua mirabile super cazzata, e impiegava il suo tempo per spiegare ai più piccoli studenti quanto papereggiante fosse stato quel pomeriggio.
<La verità, ragazzi, è che perfino allora, da spento, il mio Dexmac aveva provveduto a persuadermi a ritornare in me, ritornare l’oltreuomo che proprio in classi come queste mi avevano insegnato ad apprezzare e ambire a diventare, quando avevo la vostra età. In quanto al responsabile della ricerca e di conseguenza della mia cattura, invece, è stata la stessa Trillian, e le sarò eternamente riconoscente per ciò. Ha agito per il meglio e fin dal suo rifiuto avrei dovuto cogliere la sagacia, la lungimiranza intrinseca nel gesto di quella donna. Per ultimo, il mio caro Dexmac mi trattenne dal continuare la messinscena scegliendo per me di confessare e costringermi ad assumermi le mie responsabilità, come era giusto che fosse. La verità, ragazzi, è che la scelta è sinonimo di vita, che è sinonimo di frustrazione. Come quando avete paura, vi basta chiudere gli occhi e tutto passa.>