«Io buco; passa l’infinito di lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere […] invece tutti hanno pensato che io volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito, non distrutto»

(Lucio Fontana)

Caro lettore, adorata lettrice,

di recente ho avuto la fortuna e il privilegio di concedermi una vacanza. Ma anche in vacanza il cervello non dorme e così ti capita di fermarti a riflettere su particolari che, in situazioni diverse, magari ti sarebbero sfuggiti.

Nel caso di specie, a me e mia moglie è successo di incontrare per caso amici di tre differenti province di Italia, da nord a sud. Nell’ordine: Savona, Salerno e Lecce. Si tratta di amici che mai avremmo immaginato di conoscere, che – ripeto – abbiamo incrociato per caso e con i quali, dal primo momento, ci siamo ritrovati “a pelle”, tanto da decidere subito di condividere tutti insieme il resto della vacanza. La parola “amici”, dunque, non è qui utilizzata a casaccio. Casuale è stato l’incontro, non il “riconoscersi”.

Sin qui, son sicuro di non averti raccontato nulla di nuovo. Confido che a tanti sia capitata un’esperienza simile e anche per me non è la prima volta che un incontro casuale sia diventato occasione per una nuova e solare amicizia.

Dunque la mia riflessione si è appuntata su altro.

Provo a spiegarmi. Nel suo ultimo libro, “Vera”, Carmen Lasorella scrive che «siamo circondati da esseri umani alienati e anaffettivi, che hanno dimenticato di essere uomini». E così mi son chiesto: cosa fa sì che, in determinate situazioni, magari in vacanza o in altre circostanze fortuite, noi si sia aperti all’incontro e accoglienti nei confronti di chi, sino a un minuto prima, era un perfetto sconosciuto? E, d’altra parte, cosa ci spinge, in via ordinaria, ad essere costantemente diffidenti e sul chi va là?

Non è strana questa sorta di dicotomia? E qual è la nostra verità, quella che ci vuole guardinghi e circospetti o quella che ci trova fiduciosi e leggeri?

Come spesso mi capita di confessarti, davanti a simili e a molte altre domande, non ho una risposta certa. Come spesso ti ho confidato, io sono tuttavia portato alla filosofia dell’et et piuttosto che dell’aut aut. Credo, cioè, che siano vere entrambe le risposte, ciascuna per la sua parte, in modo coerente e contraddittorio.

Voglio dire: noi siamo sia sospettosi che bisognosi di un abbraccio, diffidiamo ed amiamo nella stessa misura e, talvolta, persino con la stessa persona.

È che siamo fatti così. Siamo contraddizione e la contraddizione, direbbe Simone Weil, è la nostra “pinza” per “toccare” la verità.

La verità ci sfugge sempre, eppure, finché riusciamo a con­-prendere i nostri aspetti “veri e contraddittori”, attraverso di essi possiamo provare a sfiorare la verità. E se questo ragionamento fosse centrato, lo si dovrebbe poter sperimentare. Intendo: ne scopriremmo la fondatezza non al termine di una argomentazione, ma attraverso una lacerazione, meglio, attraverso una lacerante esperienza, un po’ come nei celebri “squarci” di Fontana, una cui tela ho di recente potuto ammirare proprio nella pinacoteca di Savona.

Squarci che urlano attese mute e persistenti. Buchi per far passare luce e infinito.

Vabbè. La chiudo qui, prima che tu fugga via, se non l’hai già fatto, in preda a sconcerto più che a diffidenza.

Per la cronaca: con gli amici di cui sopra, il legame si è saldato di minuto in minuto nelle pur poche ore che abbiamo potuto condividere e già si fantastica di future e nuove vacanze in allegria.

Non è strano, vero? O, forse, un po’ sì e un po’ no. Proprio come ciascuno di noi.

Strani: forestieri a noi stessi finché qualcuno non ci scopre e non ci rivela persino meglio di quanto non avremmo mai sospettato di essere. Tipo che magari ci pensiamo e percepiamo egoisti, e in un certo senso ovviamente lo siamo, ma la nostra verità è che non lo siamo affatto né fino in fondo e che scoprirlo è davvero liberante e fonte di gioia.

Appunto.

Weil e uno: «L’uomo vorrebbe essere egoista e non può. È il carattere più impressionante della sua miseria e la fonte della sua grandezza».

Weil e due: «Solamente la contraddizione ci fa provare che non siamo tutto. La contraddizione è la nostra miseria, e il sentimento della nostra miseria è il sentimento della realtà. Perché non siamo noi a fabbricare la nostra miseria. Essa è vera».

Weil e tre: «Quando una contraddizione è un vicolo cieco che è assolutamente impossibile aggirare, se non con una menzogna, allora sappiamo che in realtà è una porta. Bisogna fermarsi e bussare, bussare, bussare instancabilmente, in uno spirito di attesa insistente e umile. L’umiltà è la virtù più essenziale nella ricerca della verità».

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FontePhotocredits: http://musa.savona.it/pinacoteca/opera/attese/
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...