«Caro amico, ti scrivo…»

(Lucio Dalla)

Non aveva mai pensato di poter guardare ad un anno come ad un uomo, ad un amico.

Ed esattamente come ad un uomo guardare a volte con gioia, altre con rammarico, altre ancora con delusione, altre con amore.

Era stato così quell’anno: il più fallace degli esseri umani, era sembrato e si era rivelato. Ma esattamente come un essere umano era stato capace di incredibili ostacoli diventati opportunità, indicibili scivoloni diventati salvezze, indescrivibili difficoltà diventate risorse.

E ancora sorprese: regali. Persone come leoni, compagni come re, luoghi come culle.

Era giunto al termine quell’anno: disastroso e miracoloso e lei si affacciava al nuovo con le mani in alto. Disarmata e con la bandiera bianca. La situazione intorno, nell’intero mondo, peggiorava di ora in ora e, sebbene in quel clima di paura, decise che il suo saluto all’amico anno che stava andando l’avrebbe mutuato da Pessoa, in questo modo:

Grazie alla parola
che ringrazia,
grazie e grazie
per
quanto questa parola
scioglie neve o ferro.

Il mondo appare minaccioso
finché soave
come una piuma,
chiara,
o dolce come un petalo di zucchero,
di bocca in bocca
passa
la parola grazie,
grande, a bocca piena
o sussurrata,
appena mormorata,
lessere quindi torna al suo essere uomo
non finestra,
un certo chiarore
si spinge dentro il bosco,
ed è possibile allora cantare sotto le foglie.
Grazie, sei la pillola
contro
gli ossidi taglienti del disprezzo,
la luce contro laltare della durezza.
Forse
anche tappeto magico
tra i più distanti uomini
sei stata.
I tuoi passeggeri
si sparpagliarono
nella natura
e ancora
nella selva
degli sconosciuti,
merci,
mentre il treno frenetico
cambia patria,
cancella frontiere,
spasima,
accanto agli appuntiti
vulcani, freddo e fuoco,
thanks, sì, grazie, e allora
si trasforma in tavolo la terra,
una sola parola limbandisce
splendono piatti e coppe,
risuonano forchette
e sembrano tovaglie le pianure.
Grazie, grazie
alla tua partenza e al tuo ritorno
alla salita
e alla discesa.
Ci siamo capiti, no?
tu riempi ogni cosa
parola grazie,
ma lì dove appare
il tuo piccolo petalo
si nascondono i pugnali dellorgoglio,
e nascono due soldi di sorriso.

Che arrivasse un buon nuovo anno pensava fosse troppo da sperare, che ogni giorno potesse nascondere il merito di continuare ad essere atteso sì, questo pensava fosse l’unica cosa da poter credere.

Così, semplicemente, la sua chiosa.


FontePhoto by Wilhelm Gunkel on Unsplash
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.