«Conosco un posto che esiste solo di sera, quando sono ferma ai semafori»
(Dal web)
Che le cose seguano sempre un filo logico chiaro solo a loro, fino a ricucirsi in una logica perfetta, è una faccenda di cui mi sono convinta a mano a mano che crescevo. Ad un certo punto è diventato del tutto superfluo anche cercare di dimostrarlo: tanto accade, basta avere pazienza e smettere di farsi domande. Peraltro, dimostrarlo non ha nessuna utilità. Ciò che è utile è saperlo, perché fa vivere meglio ed utile, ancora, è ricordarlo, perché mica è sempre tutto a tarallucci e vino e, quando così non è, si fa presto ad infischiarsene dei movimenti del Disegno Superiore, lasciandosi andare nelle fogne dei giorni brutti.
Ora, alcuni momenti storici sono particolarmente caleidoscopici, infilano colori anche in mezzo al nero fulvo e sembrano continuare a dirmi che il nero non esiste in natura, infatti il nero in quanto colore è stato inventato da alcune correnti pittoriche per rendere ciò che nel mondo è, in realtà, solo un gioco di luci ed ombre.
Praticamente alcuni momenti possono essere verdi, gialli e rossi. Come un semaforo.
Qualche anno fa è uscito un libro che, confesso, non ho letto ma del cui titolo mi innamorai al punto da ricordarlo ancora perfettamente: “Fermo al semaforo in attesa di trovare un titolo, vidi passare la donna più bella della storia dell’umanità”.
La prima volta che mi colpì, affondandomi, scoppiai a ridere pensando a quando anche io trovai un titolo per strada, solo che la faccenda era meno poetica: ferma sotto la pioggia battente con le frecce di emergenza accese, in mezzo al traffico infernale della controra e in settecentesima fila, proprio davanti ad un semaforo, in attesa che mio figlio uscisse da scuola, mentre il suono del temporale era accompagnato da diverse bestemmie condite dai clacson, osservavo inspiegabilmente incantata lo stemma “Fiat” al centro del volante della mia 500 color cappuccino.
Ecco, partorii l’idea più balorda del cosmo! Sorvolando sull’oggetto, vi dico solo che inviai quel titolo a chi quel titolo aspettava, persona avvezza a cadere per strada (sto ridendo), ed ebbi in risposta un sonoro: “Sei totalmente pazza, mi piace! Andiamo”.
Questo per dire che per strada, evidentemente, può accadere di tutto, mica solo gli scippi degli anni ‘80 o gli scivoloni che si tirano dietro gli “auaaaand”…
E dunque il semaforo: qualche giorno fa è spuntata, dall’acuto nulla, una persona con cui non ho contatti da almeno dieci anni ed ha fatto una domanda sul mio conto. Ha detto che il giorno prima era, guarda un po’, ferma ad un semaforo ed una ragazza lì vicino aveva in mano un libro. Quella persona lo stava guardando per curiosità, non era riuscita a focalizzarne il titolo, ma il nome dell’autrice sì, lo aveva visto: scoprendo il mistero dell’acqua calda, vi svelo che il nome era il mio e quella persona chiedeva conferme su questo dettaglio.
“È la stessa Miriam Arsedea Massarelli che dico io, quella che anni fa mi disse che ho le stesse mani di sua mamma?”.
Ecco, 10 anni. Nessun motivo per pensare a questa persona che, immagino, non abbia altrettanto mai avuto ragioni per pensare a me, fino al momento del semaforo.
Al semaforo ci si ferma, al semaforo ci si sofferma. Al semaforo si ricorda. Almeno fino al momento in cui non si palesa, certamente a Bari, la definizione di nanosecondo: “Tempo che trascorre fra lo scattare del verde ed il primo clacson alle spalle!”.
Come avrà fatto una persona, in un nanosecondo, a leggere il mio nome? Mistero, forse era solo concentrata su una copertina e se ne stava infischiando della blasfemia sicuramente uscita da una qualche ugola alle sue spalle. Forse, stava solo vedendo accadere ciò di cui troppo spesso non ci accorgiamo: la vita scorre e a volte torna indietro, anche di dieci anni, in un nanosecondo.