“Alla scuola chiederei innanzitutto di insegnare che cosa è bello, di divulgare l’armonia, di spiegare il senso dei valori”

(Roberto Vecchioni)

Già da qualche giorno la campanella per molti studenti e docenti ha ripreso a suonare e le scuole hanno ripreso a pieno ritmo la loro attività scolastica. I docenti si sono rimessi in cattedra, le lavagne interattive sono state riaccese e gli studenti hanno preso posto tra i banchi.

In questo articolo ci si soffermerà brevemente a parlare dei 3 elementi fondamentali che formano la scuola: i docenti, gli studenti e il luogo stesso della scuola.

Le parole citate dell’insegnante e cantautore Vecchioni, innanzitutto, esprimono molto bene i sentimenti che devono animare i cuori degli insegnanti: l’insegnare il bello, il vero (l’armonia) e il bene (i valori).

Oggi più che mai si chiede alla scuola di insegnare questo! Insegnare cioè a vedere la bellezza in mezzo alla bruttezza o alla bruttura del mondo; insegnare a creare armonia e verità nelle relazioni e nei saperi; insegnare a scorgere il bene e ad operare per la pace e per la giustizia.

Gardner – psicologo, docente statunitense e creatore della teoria delle intelligente multiple – ha sempre affermato che il vero, il bello, il bene sono le basi dell’educazione di tutti gli esseri umani.

In altri termini, gli insegnanti sono chiamati ad “educare”, inteso come prendere a cuore il futuro dei propri ragazzi, e a “insegnare”, inteso come affascinare, innamorare al bello, al vero, al bene.

Insegnare è difficile non perché sia difficile spiegare, cioè presentare i contenuti della conoscenza, ma perché non è sempre facile innamorare alla conoscenza.

Lo scrittore e docente Alessandro D’Avenia spesso ricorda che il compito dell’insegnante non è quello di fare interrogazioni, ma di suscitare interrogativi.

Se allora, da una parte, gli insegnanti devono educare ed insegnare, i ragazzi, dal canto loro, devono studiare.

Studiare, però, non è ricordare tante nozioni o riempire la mente di contenuti che oggi ci sono e domani svaniscono o apprendere tante informazioni per essere bravi durante le interrogazioni.

Un sapiente antico come Seneca aveva coniato un detto amaro: “Non vitae sed scholae discimus – impariamo per la scuola, non per la vita”.

Il verbo latino “studĕre” significa sì studiare ma anche desiderare, amare. In una battuta, studio vuol dire amore. E ricordare significa, a sua volta, ritenere e trattenere e uno trattiene nella mente ciò che ama e che non vuole perdere.

La chiave della memoria, allora, non sono gli omega 3, ma le emozioni. Ciò che appassiona, coinvolge, interessa, emoziona si ricorda molto facilmente, perché la memoria non è una ram, uno scaffale da riempire, ma un quadro da dipingere.

L’incontro tra i docenti e gli studenti dà luogo e avviene in un luogo: la scuola. Un luogo non solo fisico ma anche metafisico, perché la scuola non la si ha, ma nella scuola vi si è, ciascuno con il proprio compito e con la propria identità.

Ma la scuola oltre ad essere un luogo è anche tempo: il tempo dell’educare, del crescere, dell’amare, del desiderare, dell’appassionarsi.

Oggi, però, alcuni questo tempo lo vogliono ridurre. Già da un po’ circola la notizia del cosiddetto “liceo breve”, cioè la riduzione del liceo da quinquennio a quadriennio.

Meno scuola, meno classi, meno insegnanti, meno spesa: fare di più con meno. E meno non è affatto sinonimo di meglio.

Così facendo, si vede la scuola come una spesa e non come un investimento. E tagliare le spese sulla scuola significa, in ultima analisi, credere poco nei giovani.

La scuola non deve addestrare in fretta, ma – come si è detto sopra – deve educare e per educare bisogna avere pazienza e tempo, a seconda delle capacità e delle passioni di chi si ha di fronte.

Qualcuno, commentando l’iniziativa del liceo breve, giustamente la definisce: l’iniziativa della nuova scuola “fast and furious”.

In più, vi è un altro aspetto da sottolineare: oggi bisogna a tutti i costi specializzarsi, dimenticando che la troppa specializzazione tende a formare del personale e non delle personalità.

La specializzazione non permette di guardare la globalità, perché si è fermi a vedere il particolare. Si conosce un pezzo del tutto e non il tutto in quel pezzo. Manca cioè lo sguardo d’insieme.

Il liceo tradizionale – con tutti i suoi limiti – permette di avere uno sguardo aperto e globale, di occupare i giovani a scorgere i collegamenti ed avere anche la capacità di adattarsi.

Allora, bisogna avere una formazione di base più ampia e pensare a formare soprattutto non dipendenti, ma persone indipendenti.

Si potrebbe concludere con la stessa voce che ha aperto questo discorso, Vecchioni, il quale alla fine dello spot sulla scuola che sta girando sul web, dice: “Un futuro migliore per tutti è scritto nel miglior presente che riusciamo a realizzare insieme”.

Buon anno scolastico a tutti i docenti e gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado!

Buon anno accademico a tutti gli studenti e docenti universitari!

Che la scuola sia laboratorio di sapere e di sapore, di educazione e di amore per tutti!


Fontehttps://flic.kr/p/znPE1
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Nicola Montereale è nato a Trani (BA) il 1 Febbraio 1994 ed è residente ad Andria. Nel 2013 ha conseguito la maturità classica presso Liceo Classico “Carlo Troia” di Andria e nel 2018 il Baccalaureato in Sacra Teologia presso l’Istituto Teologico “Regina Apuliae” di Molfetta. Attualmente è cultore della materia teologica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) e docente IRC presso il Liceo Scientifico e Classico “A.F. Formiggini” di Sassuolo (Mo). Ha scritto diversi articoli e contributi, tra questi la sua pubblicazione: Divinità nella storia, Dio nella vita. Attraversiamo insieme il deserto…là dove la parola muore, Vertigo Edizioni, Roma 2014. Inoltre, è autore di un saggio di ricerca, pubblicato nel 2013 e intitolato “Divinità nella Storia, Dio nella Vita”.