A Bitonto è festa. Festa di popolo in festa. Itinerante. Alla ricerca di senso. Pronto ad alimentare la fiamma della speranza nel mare incandescente della storia e delle storie.
Guardo la festa dall’interno. Chi scorgo lungo la strada?
Vedo piedi scalzi: uomini e donne in pellegrinaggio, moderni nomadi assetati d’infinito. In cammino. Piedi gonfi, segnati.
Vedo corpi appesantiti dallo zaino dei giorni. Solcati da rivoli di cera. Ancora nel crogiolo della vita quotidiana, dove ogni cosa brucia a fuoco lento, dove ogni scoria può purificarsi. Con il perdono. Con la gratitudine.
Ascolto la preghiera e il canto dei viandanti. Quasi una nenia. Elegia della fragilità umana. Balsamo per la fatica dell’andare.
Scorgo i volti dei cercatori di senso. Scorrono su lingue d’asfalto, su antichi sentieri di pietra lavica, lungo strettoie e archi, tra solchi ardenti di vulcano e sfiatatoi in affanno. Un cero per bastone, una fiamma per lanterna…
Vedo l’icona dei Santi Medici. Procede lenta. Sottratta finalmente allo spazio sacro per appartenere a quello della città, che si vorrebbe santa per contagio.
Cosma e Damiano: comete nella notte buia. Meta.
Leggo la volontà di camminare che attraversa il tempo: giovani e vecchi, freschi e affaticati, chierici e laici, formiche della metropoli, pellegrini dello spirito. Ansiosi d’imprimere l’orma su un’opera marcata di speranza.
… E finalmente scorgo la sagoma del Santuario… lo skyline della Fondazione: è qui il miracolo! La carità che dà senso a ogni crocevia segnato dal legno e dalle spine. Per aiutare a tenere il passo.
Accogliere il migrante in mensa, non è forse il miracolo in un mondo ancora irto di muri e di frontiere?
Ospitare il morente in Hospice, non è forse il miracolo in un contesto che abbandona chi è d’intralcio al sistema?
In fondo, la festa è qui: andare incontro all’altro, come condizione per guardare in alto.