A settembre ho rivisto Luca in un bar di Monaco di Baviera. Con estrema disinvoltura, chiacchierava con me in italiano e ordinava birre in tedesco. Luca è nato e cresciuto a Monaco. Ha la cittadinanza italiana, nonostante in Italia non abbia passato più di qualche settimana, quindi ha anche diritto di voto in Italia, in quanto appartenente alla famigerata “Circoscrizione estero” (quella grazie alla quale è stato eletto l’onorevole Razzi, per intenderci). Le chiacchiere ci portano alla confessione di chi avesse votato durante le elezioni politiche del 2013 in Italia. Con sorpresa, mi rendo conto che lui, non vivendo il clima elettorale e basandosi solo su ciò che i giornali e le tv passavano, aveva una visione alterata della realtà.

Con Ziad ci sono cresciuta. Anzi, alla scuola materna eravamo migliori amici. Figlio di genitori tunisini, è nato e cresciuto in Italia. A dirla tutta, ha un accento pugliese più marcato del mio. Eppure, lo Stato Italiano non l’ha riconosciuto come figlio suo fino al compimento dei diciott’anni.

La legge italiana sulla cittadinanza risale al 1992, revisione di una legge sulla cittadinanza del 1912. In poche sedute tra Camera e Senato fu approvata questa legge, già vecchia nel 1992, perché puntava l’accento sul mantenimento della cittadinanza per gli emigranti e rendeva più difficile il percorso di acquisizione di nuovi cittadini. Basti pensare che, a partire dal 1973, l’Italia è passata inesorabilmente da Paese di emigrazione a Paese di Immigrazione, dato l’aumento delle presenze di stranieri. Secondo questa legge, uno straniero acquisisce la cittadinanza se risiede in Italia da almeno 10 anni, mentre se ci nasce deve aspettare la maggiore età. Per paradosso, i genitori di Ziad hanno acquisito la cittadinanza ben prima di lui, ma hanno continuato a pagargli il permesso di soggiorno, ogni anno per diciott’anni. Ancor più paradossale è la situazione in cui molti stranieri (e sia chiaro: quando si parla di stranieri si intende chiunque non abbia la cittadinanza italiana, anche i cittadini UE residenti in Italia) vivono la vita e la società italiana, ma non hanno il diritto di prendere parola su nessuna decisione, nemmeno a livello locale. Il problema di questa legge è l’assoluta cecità nel considerare la trasformazione società italiana, negando l’evidenza della globalizzazione e dell’apertura delle frontiere.

All’epoca del dibattito, l’unico partito che si dichiarò soddisfatto per il rafforzamento del “sentimento di italianità degli italiani all’estero” fu il MSI. E questo è l’ostacolo maggiore, che rallenta l’evoluzione della società italiana, ossia la convinzione che è italiano chi possiede sangue italiano (ius sanguinis- art. 1 legge 90/92), ma non è italiano chi cresce e aiuta a far crescere il nostro territorio.

Anche perché, se vogliamo dirla tutta, nel nostro sangue c’è più nord Africa che Germania. In fondo, la cittadinanza è appartenenza ad una comunità, partecipazione alla vita pubblica e ricezione di diritti e doveri. Tradotto: voler bene al posto in cui si cresce e alle persone con cui ci si relaziona, accettati dallo Stato che si sceglie.

Ziad questo l’ha capito forte e chiaro: oggi lavora nell’Esercito Italiano.

Maria-Chiara Pomarico


 

[ foto Loredana Zagaria ]