Star bene con sé stessi, con la propria dimensione fisica, con quella psichica, e con gli altri…

Essere in salute, godere di buona salute: cosa significa davvero?

È sufficiente che tutti i valori siano nei range stabiliti, o c’è forse qualcosa di più?

Quando, nel 1946, nasce a Ginevra l’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS), si afferma la necessità di fornire, nella sua Costituzione, una definizione chiara, concisa e condivisa di salute. Il risultato è che, già nello stesso anno:

la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale, sociale, e non consiste solo in un’assenza di malattia o infermità.[1]

È una svolta, e per diverse ragioni: in primis, viene accreditata l’idea che la salute non vada intesa in termini meramente biologici. Infatti, oltre alla dimensione fisica, vengono nominate anche quella mentale e sociale, in una significativa coordinazione che non prevede assegnazioni di primati. La salute, dunque, non è dominio esclusivo del settore della conoscenza medica, ma include la dimensione psichica e quella relativa alla partecipazione sociale.

In secondo luogo, e nella seconda parte del periodo, viene (finalmente) smentita la concezione che prevede la possibilità che si possa intendere cosa qualcosa è semplicemente da ciò che essa non è.

Insieme causa predisponente di questa nuova definizione, e conseguenza necessaria, è il fatto che il tema della salute interessa adesso un ampio spettro di conoscenza, e la riflessione filosofica è chiamata a dare il suo prezioso contributo.

Il dibattito filosofico, soprattutto quello che dalla seconda metà del Novecento arriva sino a noi, è molto ricco di spunti e suggestioni, dalla filosofia della medicina alla bioetica passando per le scienze sociali. Dal canto mio, mi limito a fornire una delle chiavi di lettura che un filosofo francese, esponente della fenomenologia e dell’esistenzialismo, Merleau-Ponty, ha consegnato alla posterità, e che tutt’ora è riconosciuta come un influente supporto filosofico alla discussione sul tema della salute nel campo della bioetica.

In una delle sue opere maggiori, la Fenomenologia della percezione, Merleau-Ponty afferma che il nostro corpo non è paragonabile ad un oggetto fisico, non è cioè un oggetto fra gli oggetti, ma è piuttosto il nostro punto di vista sul mondo, la modalità attraverso la quale abitiamo il mondo e ci pro-gettiamo in esso. Il corpo non è un ostacolo rispetto alla mente, alla componente cogitante, né tanto meno una prigione dalla quale evadere, e l’io non è necessariamente attraversato da una scissione che lo divide nettamente in due.

Il mondo, d’altra parte, non è semplicemente il luogo che ci ospita, dato una volta per tutte e immodificabile, ma è anzi la sfera d’azione in virtù della quale siamo chiamati a impegnarci: se gli oggetti sono nel mondo, gli uomini sono al mondo nel senso che sono gli esseri chiamati a dispiegare quel mondo.

Siamo al mondo, dunque, per contribuire a crearlo ogni giorno di nuovo, attraverso lo strumento formidabile che è il nostro corpo: tramite il nostro corpo ci esprimiamo, ci relazioniamo all’altro, facciamo esperienza dello spazio e del tempo intorno a noi. È il nostro corpo la chiave di volta del nostro mondo, ed è pertanto impensabile che ci si approcci ad esso come se la componente biologica, organica, possa essere in qualche modo separata tanto dalla componente psichica quanto dalla sfera relazionale.

Questi tre aspetti, organismo, mente e rapporto con l’alterità, sono soltanto diverse visioni prospettiche dello stesso elemento. Essere in salute significa, allora, star bene con sé stessi, con la propria dimensione fisica, con quella psichica, e con gli altri, in una sinergia che non esclude una dimensione dall’altra, ma anzi le vede compenetrarsi.

[1] Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, 1946.