«Quando si agisce è segno che ci si aveva pensato prima: l’azione è come il verde di certe piante che spunta appena sopra la terra, ma provate a tirare e vedrete che radici profonde».

(Alberto Moravia)

Caro lettore, adorata lettrice,

non conoscevo queste parole di Alberto Moravia. Quando mi ci sono imbattuto, il mio pensiero è andato a tutte le volte in cui ci succede qualcosa e non riusciamo a spiegarcene la ragione, sia che dipenda da azioni impreviste delle persone con cui ci relazioniamo, sia che discenda da nostre stesse azioni.

Accade un fatto, uno scatto, una determinata reazione, una scelta inspiegabile e improvvisa e noi ci chiediamo: “Ma come è possibile?”.

Domanda banale, persino stupida in realtà, dato che è evidente: se si è verificata, quella determinata e imprevista azione non solo era possibile, ma – avverte Moravia – aveva persino radici profonde. Solo che noi non ce ne eravamo accorti, perché ingannati dal classico prosciutto sugli occhi, che è come dire da cieca fiducia negli altri o in se stessi. Oppure eravamo distratti, non avevamo dato sufficiente cura e attenzione a chi o cosa lo meritava. Fosse pure un bisogno profondo e inespresso: nascosto nel cuore dell’altro o magari persino in noi stessi.

Sta di fatto che restiamo spiazzati. E magari questo ci delude oltre modo, ci ferisce e può anche farci reagire con rabbia.

In verità, sembra suggerire ancora Moravia, il male che ci appare gratuito e senza ragione andrebbe curato alla radice, le scorrettezze andrebbero analizzate in profondità, i comportamenti sgradevoli andrebbero osservati ai raggi X.

Solo che non sempre ci riusciamo. Un po’ perché siamo presi dal tran tran quotidiano, un po’ perché fermarsi a riflettere è doloroso oppure fa paura.

O anche perché certe operazioni, per esempio, si fanno in due e non sempre questo accade: magari è più facile sottrarsi, magari il confronto non è proprio possibile.

Muhammad Alì diceva: «Un uomo che osserva il mondo a cinquanta anni allo stesso modo in cui l’ha fatto a venti, ha sprecato trenta anni della sua vita».

Ecco, io i cinquanta li ho passati da un pezzo e davvero mi dispiacerebbe dovermi accorgere di aver sprecato il tempo che la vita mi ha donato. A dire il vero, tendo continuamente a riflettere e a interrogarmi. Spesso mi lacero, cerco in tutti i modi di capirmi per capire. E viceversa.

Operazione faticosa, lo sappiamo bene. Peraltro, il successo è tutt’altro che assicurato. Confesso che a volte mi piacerebbe essere più superficiale. Poi mi dico che non sarebbe la stessa cosa, che la vita avrebbe meno sale e meno sole.

Certamente, meno amore e meno amici.

Per cui, va bene così. Provo a mettermi in posizione di accoglienza e gratitudine. E provo a restituire quel poco che so e che posso.

Per di più, a volte basterebbe molto meno. Per esempio, accettare che non siamo perfetti, che non a tutto si riesce a dare una spiegazione e che la felicità è un diritto di tutti: anche nostro.

Proverbio Giapponese: «Guarda gli errori degli altri e correggi i tuoi».

Massima Zen: «La felicità è una scelta. L’accettare è una scelta. Il perdono è una scelta. L’amore è una scelta. Il tuo tempo: la tua scelta».

Epitteto: «C’è soltanto una strada verso la felicità e consiste nello smettere di preoccuparsi per le cose che sono al di là del potere della nostra volontà».


FontePhotocredits: Paolo Farina, "L'ulivo di Gino"
Articolo precedenteIl magico realismo di un Campari a Veracruz
Articolo successivoIl Cinema di Roberta
La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...