
Il Presidente Vučić ha rivelato pubblicamente ciò che Orban gli ha riferito sulle strategie NATO che dovevano essere adottate durante la guerra del 1999, una delle tante notizie che da noi passano inosservate.
L’Ungheria, assieme a Polonia e Repubblica Ceca, firmò i protocolli di adesione alla NATO il 12 marzo 1999, giusto qualche settimana prima dell’operazione Allied Force contro la Jugoslavia. L’Ungheria, dopo gli anni del comunismo, riabbracciava i principi democratici che l’ideologia e l’Unione Sovietica avevano soffocato, non senza l’utilizzo della forza.
Per l’Ungheria, l’ingresso nell’Alleanza Atlantica, era propedeutica alla futura integrazione europea, serviva a rafforzare i buoni rapporti di vicinato con i Paesi confinanti e a preservare le minoranze disseminate nei Balcani e nei Carpazi.
Viktor Orban era già primo ministro all’epoca e così si espresse, ricordando la storia recente del suo popolo: “Il biglietto di ingresso nella NATO e le trattative di adesione all’UE è stato timbrato nel 1956, in quanto l’Ungheria non ha combattuto solo per la sua indipendenza, ma anche in difesa dei valori occidentali”. Per questi Paesi, e in particolare per l’Ungheria, la guerra in Kosovo fu una sorta di test, un banco di prova insidioso per le successive adesioni, che Budapest si trovò ad affrontare non senza difficoltà, considerando anche che gli ungheresi ci tenevano a mantenere relazioni positive con la Jugoslavia, laddove era, ed è ancora oggi, presente la minoranza magiara in Vojvodina.
Ciò che avvenne in quei convulsi giorni della recente storia europea, durante i quali crebbe la tensione tra NATO e Russia, si arricchisce di un dettaglio di non poco conto. In questi giorni in Serbia, che da sempre considera l’operazione un’aggressione, si è tornati sui fatti del 1999 dopo le parole che Viktor Orban ha riferito recentemente ad Aleksandar Vučić, Presidente della Repubblica di Serbia, il quale ha avuto autorizzazione di renderle pubbliche.
Il Primo Ministro ungherese ha rivelato che gli Americani avrebbero ordinato all’Ungheria un attacco via terra alla Jugoslavia, proprio lì al confine dove si trova la Vojvodina abitata da almeno 250000 ungheresi. Vučić ha detto che Orban all’epoca rifiutò quella richiesta di Bill Clinton. Dalle colonne del principale giornale serbo, Republika, si legge che “poi Orban è andato in Gran Bretagna, ha suonato alla porta di Margaret Thatcher che si è detta infastidita dal suo rifiuto di attaccare via terra la Serbia, perché così sarebbero morti altri soldati britannici”.
L’offensiva ungherese avrebbe dovuto impegnare anche al nord del Paese l’esercito di Belgrado, occupato nel sud, nel Kosovo, indebolendolo ulteriormente. Questa confidenza, divenuta pubblica, oltre che a rafforzare il rapporto tra i due Stati, che si sono promessi sostegno durante il prossimo difficile inverno, che si concretizzerà con la costruzione di un nuovo oleodotto, che consentirà alla Serbia di rifornirsi di petrolio dell’Est, mette in risalto alcune delle problematiche che riguardano i rapporti interni all’Unione Europea.
Si sa che Orban ha mantenuto buone relazioni con Putin e che oltre ad aver chiesto di dilazionare i pagamenti per le forniture di gas al suo Paese, ha chiesto di revocare le sanzioni a Mosca entro la fine dell’anno poiché sono causa di inflazione, crisi economica ed energetica. Belgrado, da par suo, vede in Budapest un appoggio e un sostegno nella ferma decisione di non imporre sanzioni all’amico storico, la Russia, che secondo il vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas, comprometterebbe l’ingresso della Serbia nell’UE, che da quelle parti non rappresenta un serio ricatto.
L’opinione pubblica nel Paese balcanico non ha mai pienamente accettato i negoziati di adesione a Bruxelles, un processo già complicato in virtù del mancato riconoscimento del Kosovo da parte di Belgrado e che fatica a decollare. Quello che le parole di Orban ribadiscono è che la NATO, ad un certo punto, ha avviato un prepotente allargamento, dimentica dei confini e degli Stati cosiddetti cuscinetto, con una strafottenza prima sconosciuta, che è iniziata nel 1999 e che ha perfezionato nell’ultimo frangente storico con i fatti che hanno portato al recente conflitto, che l’UE ha giustificato poi politicamente con l’integrazione degli Stati succitati nel 2004.
La politica europea di Viktor Orban si è sempre mossa alla ricerca di una certa indipendenza, scontrandosi spesso con Bruxelles, a partire già dalla crisi dei migranti del 2015 che portò alla costituzione del Fronte di Visegrad. L’UE, non senza la sua complice e riconosciuta negligenza, mal digerisce Orban e la sua politica che, tramite il Parlamento, ha definito “un’autocrazia elettorale”.
Colpisce il fatto che da noi tali notizie non vengano assolutamente pubblicate, come se l’informazione dovesse dar conto soltanto di ciò che non andrebbe a ledere la nostra opinione pubblica, che è stata addomesticata a una verità di parte, quella Occidentale, che si crede detentrice di una superiorità morale che ha imposto dopo un lavorio geopolitico azzardato. Questa notizia risonante mette in risalto il prevalere della realpolitik nelle strategie geopolitiche e militari a dispetto degli ideali della libertà e della pace, sbandierati a destra e a sinistra dalle potenze mondiali, che in realtà sono chiamati in causa per promuovere sconsiderate e dannose aggressioni.
Grazie Vincenzo per queste puntualizzazioni doverose; contribuiscono alla verità come da “visione secondo complessità”. E in effetti oggi, questa, oltre a essere come da tradizione, la vittima prediletta di ogni conflitto, è anche tenuta nascosta, molte volte in cattiva fede, per fuorviare le coscienze… Credo sempre opportuni questi approfondimenti da farsi con “onestà”, coraggio, competenza.
La pedagogia di chi riferisce i “fatti” poi deve essere sempre orientata all’aiuto da fornire con umile determinazione a chi, oggi più che mai, galleggia nel disorientamento di una pseudo informazione “liquida”, subdola e sfuggente. Spero di rileggerti presto, magari anche di continuare uno scambio personale di idee e di conoscenza, se vorrai. Gabriele*