“La malattia della cultura occidentale, quanto mai cronica nel tempo in cui viviamo: l’antropocentrismo. A torto o a ragione, per certi versi ottusamente, ci sentiamo l’ombelico del mondo e per questo in diritto di violentarlo e rovinarlo… Ma le cose mute! Quelle sì che sono vera poesia”
(Paolo Farina)
Caro direttore,
ho temporeggiato un po’, ma poi non ho più resistito al tuo invito al caffè o meglio a rispondere al tuo caffè. Si chiama pura coincidenza, casualità, Provvidenza, non lo so, ma proprio sabato mattina (qualche ora prima quindi della condivisione del tuo caffè di domenica scorsa) durante una fantastica passeggiata a 20 mt di profondità nello splendido paesaggio sottomarino elbano, riflettevo su quanto ci perdiamo di splendidamente bello perché presi dalle parole da dire, dalle chat da seguire in tempo reale, dagli schermi da “touchare”. Basterebbe provare ad essere “muti” per un’oretta (nel senso del tuo caffè) per riuscire a godere di spettacoli, sensazioni, meditazioni, che ci vengono quotidianamente regalati e che invece noi ignoriamo perché presi da noi, dal nostro egocentrismo, dal “nostro antropocentrismo”, dal nostro voler rincorrere, seppur in maniera surreale, qualsiasi parte del pianeta dicendo sempre e comunque la nostra anche prima di assaporare con gli occhi e con il cuore tutto il bello che ci circonda.
Dovremmo invece qualche volta darci la possibilità di sperimentare una passeggiata sottomarina… cambiano le condizioni, le sensazioni, i tempi: è tutto molto “rallentato” non c’è fretta di andare sempre e comunque; la luce non è diretta, ma impreziosita da innumerevoli riflessi che solo l’“Artista” che ci guida da lassù avrebbe potuto creare così armoniosamente splendenti.
I suoni, tutti molto ovattati, accarezzano l’udito e ti avvolgono con delicatezza, gli “abitanti” che incontri (stelle marine, saraghi, murene, cernie, cuccioli di delfini, dentici, barracuda) sembra che siano lì ad aspettarti per accoglierti. Ma, soprattutto, non puoi parlare, puoi solo comunicare con i gesti che hai imparato per domandare qualcosa o far capire a chi ti accompagna come sta il tuo assetto, o semplicemente indicare col dito o con la torcia le bellezze da guardare. Non sei solo perché ti senti accolto da un contesto che, ovviamente, non è per noi naturale, ma che facilmente diventa familiare… tutto molto ovattato, e nello stesso tempo tutto molto armonico. Ma non puoi parlare…. Che bello poter godere in silenzio!!! E non puoi correre… Devi prenderti i tuoi tempi di compensazione mentre scendi sempre più giù o quando poi risali. Che bello poter godere del tempo!
Caro direttore, dopo aver letto il tuo caffè mi sono ritrovata in piena sintonia…”riprendiamoci” la poesia del mondo che ci circonda, torniamo a godere di tutti i sogni che abbiamo dentro e accanto a noi; non perdiamo nemmeno un secondo dello spettacolo che ci circonda sia stando “con la testa fra le nuvole” e sia “pinneggiando nei fondali più azzurri”.
Per un attimo mi è venuto in mente quanto scrive Paolo Crepet nel suo libro Baciami senza rete, redatto dopo aver letto su un muro di Roma la scritta SPEGNETE FACEBOOK E BACIATEVI.
“Un’idea appesa come una cornice in mezzo al fumo degli scappamenti, una finestra abusiva, una sfida all’arrancare quotidiano di milioni di formiche, tra casa e ufficio, tra palestra e centri commerciali, obbligate a connettersi e a essere connesse senza requie, senza pensiero, senza dubbio. Una protesta probabilmente vana, sommersa dalla forzata consapevolezza di poter comunicare solo attraverso la lettura di uno schermo o lo scorrere di parole scarne o di immagini che uno strumento tecnologico può e deve trasmettere senza soluzione di continuità”.
Ebbene sì, caro direttore, dopo aver provato quelle splendide sensazioni sabato e dopo aver letto il tuo caffè ho pensato: ma dove stiamo andando? Cosa sta succedendo all’individuo, ai rapporti interpersonali nel mondo digitale e interconnesso in cui oggi tutti viviamo, ma dal quale le giovani generazioni sembrano letteralmente rapite? Quasi che solo attraverso l’uso delle nuove tecnologie e dei social network sentano di poter interagire, informarsi, far parte di una comunità, in una parola ESSERCI.
Ma come sarà, da adulto, un bambino che ha comunicato sempre e soltanto attraverso un device?
Riusciremo comunque a fargli vivere i sentimenti, le sensazioni, la VITA in maniera empaticamente piena?