Solleticare gli istinti peggiori, nel momento delle tragedie nazionali, è un crimine morale. Cercare il capro espiatorio che ci metta la coscienza a posto è un espediente facile e stupido, anche davanti a una tragedia immane come quella di Rigopiano
Caro direttore,
mi chiedi un parere sulla tragedia di Rigopiano, me lo chiedi perché io vivo in terra d’Abruzzo. Ci provo, pur con la riluttanza che mi suscitano le cattive notizie, e qui la notizia è pessima. Ora, a dieci giorni dai fatti, si può ragionare a mente più lucida, nonostante l’alluvione di tv e di giornali che, nella gran parte dei casi, hanno cercato i colpevoli prima delle cause del disastro.
Ecco, la prima cosa che mi viene da dire è che la ricerca del capro espiatorio ha annebbiato le menti e le penne. Capisco che le famiglie interessate alla tragedia abbiano il diritto a cercare un colpevole, visto che non se la possono prendere con Dio, ma poi chissà. Ma chi ha il dovere di informare non può limitarsi a puntare il dito vindice su questo o quel funzionario o centralinista. Significa non aver capito la portata di un disastro che parte da lontano. E che comincia dalla costruzione di un bellissimo luogo di riposo, in un territorio che spesso in passato ha dato prova di pericolosità, come la memoria dei vecchi di Farindola conferma. E come confermano gli studi dei geologi che si occupano di valanghe, purtroppo rimasti lettera morta. C’era malafede in chi ha costruito? Gli amministratori erano stati corrotti? Non credo e non risulta. Loro, nel tentativo di dare un’opportunità economica al territorio, si sono mossi con entusiasmo e con ignoranza. Una scelta sciagurata, ma non in malafede, che essi stessi hanno pesantemente pagato (morto sotto le macerie anche il fratello del sindaco che firmò i permessi). I fatti di mercoledì 17 gennaio sono stati una conseguenza aggravata dal terremoto. Se c’è una colpa è di chi, vista la malaparata, non ha provveduto per tempo a sgomberare e a chiudere l’albergo (vi ha trovato la morte anche chi lo ha ideato, poveraccio).
Ora, è evidente che, attribuire la responsabilità della strage al ritardo dei soccorsi è un diversivo comodo. L’Abruzzo era tutto in ginocchio, in quelle ore. Gli allarmi in prefettura arrivavano a migliaia. Duecentomila abitanti senza luce e senz’acqua. Paesi isolati da muri di neve alti fino a tre metri e più. Cercare la colpa dei possibili malintesi, in quella situazione, è come cercare un ago in un pagliaio. La procura di Pescara faccia pure il suo lavoro, com’è giusto che sia, ma le ragioni vanno cercate da un’altra parte: nella mancanza di piani strutturali e di risorse per prevenire le tragedie. Che è in sé una tragedia per un Paese ad alto rischio sismico, in zone dove valanghe e slavine sono la norma. Su questo bisogna ragionare. I miliardi sarebbe meglio spenderli per prevenire, piuttosto che per soccorrere, anche in contrasto con la sparagnina Unione Europea.
Ciò detto, si può capire la rabbia, la voglia di risarcimento, di giustizia umana e divina. Si può capire il dolore delle persone colpite dal disastro. Ma non si può e non si deve permettere la strumentalizzazione politica, spesso usata a piene mani da chi negli ultimi vent’anni ha avuto responsabilità di governo. Solleticare gli istinti peggiori, nel momento delle tragedie nazionali, è un crimine morale. Cercare il capro espiatorio che ci metta la coscienza a posto è un espediente facile e stupido. Lo so che abbiamo bisogno di capire perché certe tragedie accadano, ma la risposta non la troveremo agitando la forca.