Siracusa, 2013, emergenza sbarchi.

What’s your name?

Li ho scritti tutti su un vecchio diario scolastico “bastardidentro” di qualche anno fa.
Impronunciabili, inscrivibili, spesso ripetitivi.
Ma nomi e qualche volta anche cognomi.
La mia solida quanto (in)utile formazione sanitaria mi imponeva, all’inizio, di associare ad ogni nome una diagnosi.
Così conobbi Faaris=insufficienza renale, Ibraheem=sospetta TBC, Mahmoud=maledappertutto, Ahzuur=gravida 20settimana, Ugaja=amputazione dita mano, Tibia=ustione IIgrado.

What’s your name recitava il mio inglish maccheronico, anche quando i name erano tanti, tantissimi, troppi e quel diario bastardidentro mi diceva di farmi furba e di guardare semplicemente il braccio sinistro dei miei assistiti.
Una striscia di carta plastificata bianca e un numero scritto con un pennarello nero.
Un marcatore nero.
Un marchiatore di neri.
Roba di ordinaria amministrazione in una comunità che accoglie migranti e profughi marchiandoli come le pecore sulle orecchie.
Numeri, progressivi, inarrestabili.
È un sistema di garanzia e tutela mi dice il solito pirla di turno, a cui chiedo.
In fondo anche ai mie due bambini, alla nascita, fu messo al polso un braccialetto identificativo in modo che non potessero essere confusi con altri neonati.
In fondo anche nei villaggi vacanza all inclusive ti mettono al polso il braccialetto per accedere a tutti i servizi del villaggio.

What’s your name? I’m the 29.459
29.459=vomiting

No.
Non così, non io.
Non mi servono identificativi, nè marchiature, questi uomini e queste donne la loro storia e la loro identità ce l’hanno scritta negli occhi.
E la mia orgogliosa maglietta dice “io non ti denuncio”.
E io non ti identifico.
Ma ti chiamo per nome.
What’s your name?
What’s your problem?

Piacere, io sono Laura.


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Classe 1964, piemontese di Asti, legata affettivamente ed intellettualmente alla città di Andria. Sono un'infermiera che a bordo di una panda compie viaggi di cura e di relazioni umane utilizzando la narrazione come canale comunicativo e terapeutico. In un mondo sempre più frenetico e in una sanità sempre più medicalizzata la vera rivoluzione è prendersi tempo, il tempo della relazione, dell'aiuto, dell'ascolto, della condivisione. Scrivo per passione e per necessità. Ogni viaggio è un romanzo sulla punta delle dita, ogni storia è per me una pagina bianca su cui rielaborare un percorso di cura sia per la persona sofferente che per me stessa. Promuovo e sostengo nel quotidiano un modello di vita slow e nell'attività professionale adotto un modello sistemico di cura e relazione secondo la Slow Medicine.