Amava i ragazzi del quartiere. Non li ha mai abbandonati anche quando è stato chiamato a svolgere il ruolo di vicario generale

Concludeva sempre così le sue omelie: un auspicio e un impegno per la sua comunità. Avevano un ritmo non sempre facile da cogliere le omelie di don Savino Giannotti, secondo parroco della comunità dei Ss. Angeli Custodi di Trani e vicario generale emerito dell’Arcidiocesi di Trani, Barletta, Bisceglie e Nazaret, nato al cielo circa un mese fa. Una breve introduzione e la spiegazione dei brani della Liturgia della Parola. Don Savino entrava nelle tematiche domenicali con un fraseggio anche complesso. Faceva discorsi teologici e pastorali. Ma non disdegnava filosofia, psicologia e sociologia. Troppo, a volte, per il suo uditorio. Se ne accorgeva. E rimediava con folgoranti parole in dialetto tranese.

Aneddoti e frasi tratte dal repertorio contadino. Strappando un sorriso, riportava i parrocchiani al nocciolo del discorso. Li guidava nel suo crescendo, stigmatizzando comportamenti e abitudini lontane dallo spirito evangelico, prendendo posizione su alcuni problemi sociali.
La frase “… e l’augurio che ci facciamo” segnava la conclusione del discorso. Desiderata, se si era distratti o schiaffeggiati dalle sue parole. Indimenticabili. La denuncia della disoccupazione nel quartiere di via Andria, periferia nord della città di Trani. Le tirate retoriche contro imprenditori senza coraggio, giovani e adulti che spesso preferivano crogiolarsi nella lamentela piuttosto che mettersi in gioco per cercare la “fatica”.

L’assalto contro il “taglia-taglia” (lo accompagnava con l’eloquente gesto delle forbici), che minava alla base i rapporti all’interno delle famiglie e della comunità, il ricorso a maghi e oroscopi per cercare di controllare il proprio futuro senza fidarsi della volontà di Dio.
L’ultima battaglia è stata quella contro lotterie, giochi d’azzardo e ludopatie. Mali di un rione, che non è più il “Texàs” (accento rigorosamente sulla –a) degli anni ’60, ma che presenta nuove povertà. Un quartiere che sta invecchiando: si è passati da 200 battesimi e 20 funerali a una conta sfavorevole ai nuovi nati nella fede.
Don Savino amava il suo quartiere e gli brillavano gli occhi nel vedere la crescita del numero dei laureati e la sempre maggiore propensione dei giovani del quartiere a cercare di studiare e informarsi per cercare l’emancipazione.

Ho letto tanti ricordi sui social. Tantissime immagini. Eppure manca sempre qualcosa. Un collega ha parlato di “due Don Savino”, il parroco di periferia e il vicario generale. Credo che non sia così. Il profilo di questo pastore è stato sempre inconfondibile. La sua capacità di intessere relazioni, come ha ricordato l’arcivescovo, mons. Leonardo D’Ascenzo, durante le esequie, è stata straordinaria molto prima del suo impegno in diocesi. Non potrò mai dimenticare lo stuolo di autorità giunte ad omaggiarlo in occasione del suo 25° anniversario di sacerdozio. Un parlamentare relegato in seconda fila. Il rischio di un piccolo incidente diplomatico. L’ingresso in pompa magna di un ministro, avvenimento più unico che raro in un quartiere come il nostro. Era il 1989. Trent’anni fa. Ben dieci prima che don Savino venisse indicato come vicario generale da mons. Carmelo Cassati.

D’altra parte ci sono “50 sfumature di don Savino” (sono certo che starà ridendo per questo titolo irriverente, come quella sera, nella quale i giovani di Ac per festeggiare il suo venticinquesimo gli regalarono una copia dei “Versetti satanici” di Salman Rushdie).
Don Savino è stato il parroco, che mi ha seguito nell’itinerario di iniziazione cristiana. Mi ha accompagnato nella formazione catechetica e nella conoscenza dei sacramenti. La vita nel quartiere di via Andria è stata molto intensa: celebrazioni, ritiri, gite, campi scuola, due missioni. Scorrono davanti agli occhi immagini di esperienze vissute.
I gladioli e il quaderno delle buone azioni da portare all’altare il giorno della prima comunione, la confessione che diventava “revisione di vita”, il foglio informativo “In famiglia”, lo studio degli itinerari di iniziazione cristiana per trasformare la mentalità di catechisti ed educatori, la coppia per portare Gesù agli anziani e agli ammalati.

Ci sono anche immagini più prosaiche. Le aspersioni che diventavano veri e propri “gavettoni”, il tressette per rilassarsi alla fine delle celebrazioni domenicali e per tenere aperta la Chiesa fino a tardi, la sua passione gastronomica, le ronde con don Enzo de Ceglie, attuale parroco dei Ss. Angeli Custodi, per vedere cosa stessimo combinando negli incontri clandestini di comitive giovanili.
Amava i ragazzi del quartiere. Non li ha mai abbandonati anche quando è stato chiamato a svolgere il ruolo di vicario generale. Un secondo padre. Per alcuni unico punto di riferimento. Ho visto tanti “giovani” avvicinarsi al feretro. Piangere come bambini. Raramente ho visto mio padre versare lacrime. La tenerezza mostrata davanti a don Savino mi ricorda tanto il momento di commozione vissuto insieme per la morte di mio nonno Michele. Ricorda sempre il suo spaesamento a 25 anni per l’inizio della sua vita matrimoniale in un paese che non conosceva. Don Savino lo ha accolto. Trani e gli Angeli Custodi sono diventati la nostra casa.

Ho consumato tutto lo spazio senza parlare della mia esperienza con don Savino. In fondo, il mio rapporto con lui è stato sempre vissuto all’interno della comunità. Due volte soltanto ci sono stati momenti personali. Nei momenti più belli e più brutti mi ha preso per mano. Abbiamo dialogato prima del mio matrimonio. E lui mi ha detto che sarebbe venuto solo per colmare l’assenza dei miei nonni. Sarebbe stato mio nonno per un giorno. Ho vissuto un momento critico, una fase che non augureresti neanche al tuo peggior nemico. Gli ho inviato un messaggio. Speravo in una sua frase, una parola per sorreggermi. Aveva molti impegni e stava male. È apparso dietro la porta di casa. Non l’ho mai visto così preoccupato. Ha dimenticato la sua malattia. In quel momento era prioritario stare vicino a uno dei “suoi” ragazzi di via Andria. Inutile aggiungere altre parole.


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Una grande quantità di amore ed entusiasmo traboccanti da un piccolo contenitore bucato dalla fragilità e dalle ammaccature dell’esistenza. Poche pennellate per descrivermi. Mi definisco un mediano, che sta in mezzo al campo “a recuperar palloni … con dei compiti precisi”, consapevole che è più bello lavorare per la squadra e che dopo “anni di fatiche e botte vinci casomai i Mondiali”. Insegno filosofia e storia al Liceo “F. de Sanctis” di Trani e ho collaborato con l’Issr “San Nicola il Pellegrino” di Trani come docente incaricato di Filosofia rosminiana e Filosofia della religione. So cosa vuol dire viaggiare, gustando i paesaggi e temendo le avverse condizioni meteo. L’esperienza più bella è la paternità: il dono di rinascere per accompagnare una vita che mi è stata affidata, rivedendo il mondo con gli occhi di un bambino.