Non c’era neanche la Chiesa: era solo uno stanzone a piano terra che fungeva da aula liturgica dove “le sedie piangono” amava dire un predicatore lamentando costantemente l’assenza dei fedeli. Qui una ripida scala di legno, muta testimone di mille storie, dove si scorrazzava ad occhi chiusi, portava giù nel garage: era questo il laboratorio vero dove si faceva di tutto, dal catechismo alla commedia in vernacolo… ma soprattutto si socializzava e ci si esercitava con mezzi da niente a diventare donne e uomini con una grande carica di umanità.
Alcuni volti e situazioni scorrono veloci e in maniera disordinata nella memoria: l’occhio vigile di don Vincenzo e suor Tiziana, zia Enza intenta, tra ansie e affanni, a far quadrare i conti con quei pochi spiccioli che si raccoglievano la domenica là dove “le sedie piangono”, Filomena, puntuale là dove bisognava rimboccarsi le maniche, e tanti che nel loro nascondimento hanno contribuito tenacemente alla formazione di personalità e professionalità in un ambiente dove non c’era spazio né per le esaltazione dell’io né per le autoreferenzialità narcisistiche ma solo per apprendere, da attenti artigiani, la preziosa arte del “servire”.
In questo angolo di periferia di Andria, tra via Ospedaletto, viale Orazio e via vecchia Barletta, con una toponomastica negli anni ‘80 ancora in fieri … qui tra i numerosissimi ragazzini e ragazzine che dai banchi della scuola media si affacciavano sul mondo, Sabina, ragazza energicamente critica, ma col sorriso sulle labbra, ha forgiato la sua brillante intelligenza e la sua forte personalità intuitiva, attenta alla periferia dell’esistenza: quella delle persone sole, dei malati, dei non autosufficienti… realtà queste che sono entrate inesorabilmente nella sua pelle fino a consumarla prima del tempo.
È una storia di condivisione con quegli ammalati che lei stessa ha servito per riaccendere il senso della bellezza pur nella fragilità della speranza che sovente è costretta a destreggiarsi, con mille peripezie, in mezzo alle traversie dell’esistenza. È la storia di una donna che ha fatto della periferia non solo un luogo geografico, ma un laboratorio educativo dove, affinando con passione il gusto e il senso del bello, si è sempre in ballo a fare i conti con i grandi quesiti che risiedono nel cuore umano tra il dramma e la nobiltà.
Elia Ercolino
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