“Viva l’Italia, l’Italia che non ha paura.
Viva l’Italia, l’Italia che è in mezzo al mare,
l’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare,
l’Italia metà giardino e metà galera,
viva l’Italia, l’Italia tutta intera.
Viva l’Italia, l’Italia che lavora,
l’Italia che si dispera, l’Italia che si innamora”
“Viva l’Italia, l’Italia che non ha paura”: le parole della celebre canzone del cantautore De Gregori celano una dolce speranza: la speranza insita nel ventre di un paese pronto, nonostante i tanti colpi subiti, a rinascere ancora.
Per rinascere e per propendere verso un nuovo sviluppo, molto spesso è necessario poter credere di trasformare desideri, definiti da tanti utopie, in solide realtà: un uomo – un semplice uomo, non un eroe – in qualche modo ci è riuscito.
Quell’uomo si chiama Domenico Lucano: un semplice uomo appunto che non va celebrato, ma semplicemente raccontato. Domenico Lucano il sindaco; il rivoluzionario; l’emulatore di Peppino Impastato.
Domenico Lucano l’indagato; l’usurpatore delle leggi; legato alle sue origini da un sottile filo rosso: il suo amore di sempre, Riace
Fino a vent’anni fa il paesino calabrese di Riace versava in una situazione cronica di abbandono, molte case erano diroccate e la scuola rischiava di chiudere a causa dell’emigrazione dei giovani verso il nord e il conseguente spopolamento delle aree interne italiane, ma – scrive la B –BC “il suo destino è completamente cambiato” grazie all’idea di accogliere un certo numero di immigrati che sono stati integrati nella comunità locale. Il vento del cambiamento fu disegnato da Domenico Lucano, che allora non era sindaco, ma che era stato a sua volta emigrante: “Tutto è cominciato con una botta di vento”, ama ripetere.
La prima accoglienza di un gruppo di profughi, infatti, è avvenuta a Riace nel luglio del 1998, quando un veliero partito dalla Turchia con a bordo 66 uomini, 46 donne e 72 bambini è approdato a cinquecento metri dalle coste di Riace Marina. I profughi venivano dall’Iraq, dalla Turchia e dalla Siria. Erano tutti curdi in fuga dalle persecuzioni politiche. “È allora che abbiamo cominciato a sognare. Mentre vedevamo Riace Marina affollata durante la stagione estiva e Riace Superiore, la parte alta del comune, addormentata, svuotata dei suoi abitanti partiti a lavorare al nord. E se questi profughi ci aiutassero a svegliarla? Se grazie a loro le vie potessero tornare alla vita? Se si potesse ancora sentire la gente parlare e i ragazzi ridere?”, si chiedeva Lucano. I profughi furono tutti ospitati in una struttura della curia a Riace Superiore.
Riace, la cittadina del profondo sud, gestita per il bene comune: Riace aperta ai mutamenti sociali; Riace che non si rassegna all’idea di scomparire, ma che “ossessivamente” accoglie tante vite in fuga. Un luogo che, da un lato a causa della crisi economica, si svuota dei suoi abitanti costretti ad emigrare per cercare fortuna altrove, si riempie dall’altro di nuovi volti, di nuove storie provenienti da culture lontane. Riace che quindi diventa idealmente una stazione ferroviaria di una città metropolitana: c’è chi va via armato di uno zaino colmo di tanti sogni e chi arriva senza nulla con il medesimo sogno: provare a costruire una vita dignitosa.
Lucano costruisce, con il prezioso aiuto di tanti volontari, una casa, o meglio una culla, per queste vite senza più radici: regala loro la possibilità di rinascere, perché in questa esistenza, a volte troppo fredda e schematica, abbiamo il sacrosanto diritto di poter credere e sperare di rinascere ancora.
Un luogo deserto dunque ripopolato da persone, che in molti casi hanno rappresentato una fonte di guadagno – si pensi all’inchiesta Mafia Capitale e ai tanti baroni, in molti casi prelati, dell’accoglienza disseminati nella nostra Italia -, con la voglia di rimettersi in gioco; di condividere una sana utopia: radicarsi in un paese lontano ed integrarsi a filo doppio con il contesto ospitante.
A Riace l’utopia diventa realtà: quei profughi hanno una casa, un lavoro, una guida: il loro sindaco: l’operaio dell’accoglienza.
Niente è perfetto però e arrivano le prime ombre: Lucano è stato arrestato il 2 ottobre nell’ambito di un’inchiesta avviata dalla procura di Locri diciotto mesi fa e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, successivamente revocata. L’accusa è di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e affidamento fraudolento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti a due cooperative della zona.
Il modello Riace traballa, perché colpito al cuore: il suo ideatore, colui che ha investito tutta la sua vita per la realizzazione di un’accoglienza compiuta è finito – perché avrebbe compiuto dei reati, questo è doveroso sottolinearlo – nel tritacarne della giustizia.
Le leggi – per quanto a volte scritte da soggetti lontani dalla realtà e quindi ciechi rispetto a tanti aspetti del vivere quotidiano – vanno applicate, ma soprattutto meritano rispetto coloro i quali sono chiamati a sanzionare chi non le rispetta.
Lucano non le avrebbe rispettate e per questo sicuramente sarà pronto a pagare, ma una cosa va detta: per i suoi eventuali errori, non merita di essere spazzato via un modello di umanità vincente, dove sul progresso di pochi ha trionfato lo sviluppo di tanti; dove la solitudine ha lasciato spazio alla condivisione contagiante. La giustizia indubbiamente farà il suo corso e a noi rimane il sogno di vedere il Modello Riace sopravvivere a qualsiasi evento riguarderà il suo ideatore. Perché quella culla di umanità non è solo di Domenico Lucano è diventata in qualche modo di tutti noi.