“La dualità tiene insieme le alternative”.
(S. Levi Della Torre)
Capita sovente di riflettere sulla capacità di due rette di intersecarsi. L’intersezione delle rette è data dall’unione di due minuscoli punti distinti. Accostando le rette all’uomo e i punti alle sue peculiarità caratteriali potremmo provare a coniare l’espressione “intersezione (compenetrazione) umana”.
Non può esserci intersezione (compenetrazione) tra due persone, se non vi è conoscenza e quindi incontro reale e non virtuale. L’impulso che genera l’incontro è individuabile, senza ombra di dubbio, in un moto: il moto che nasce dalla volontà di scoprire. Scoprendo l’altro si colgono i suoi tratti distintivi ed inizia il processo avvincente “dell’intersezione umana”, “della compenetrazione umana”.
Come si può, pretendere di immedesimarsi nell’altro ricercando solo nella sua ombra, e non nella sua carnalità, il dialogo e l’accoglienza di cui necessiterebbe, non solo lui, ma l’umanità intera?
L’ombra fornisce una percezione monca, in quanto chi abbiamo di fronte esiste, dinanzi ai nostri occhi, solo parzialmente dato che non mostra, o meglio non ci poniamo nella condizione di cogliere, interamente la sua essenza. L’incontro tra gli uomini è spesso contornato da un alone di distacco, di ipocrisia che tiene ciascuno stretto a se stesso, ma non ti abbraccia, svelando la sua difficoltà ad essere marchiato da una vera autenticità e unicità.
L’altro come un’ombra non solo nella versione negativa che oscura il rapporto tra gli uomini, bensì l’altro paragonato ad un’ombra, la quale modella la sua forma in base alla posizione del sole.
L’ombra viene meno quando l’uomo si espone alla luce del sole.
Il sole, fonte spettacolare di luce e di calore, che può trasmettere serenità sul volto di ogni uomo. Lo spiraglio di luce metaforicamente è il sorriso dell’altro. Un sorriso costellato di accettazione e predisposizione all’accoglienza che penetra delicatamente e riesce, nell’altro, a dar voce a quella chiusura interiore, unico ostacolo al rapporto autentico e compenetrante.
Spesso accade che, quando ci si confronta con una persona, il nostro comportamento è guidato da un impulso istintivo che produce una risposta di riflesso a ciò che l’altro ci trasmette. In particolare: è più facile sorridere ad una persona che ti sorride; è più semplice dialogare con una persona che guarda solo i tuoi occhi; è più semplice aprire il cuore a chi mostra interesse nei nostri confronti.
In fondo la semplicità è denudarsi davanti agli altri e l’essere nudi è una prerogativa dell’uomo sin dalla nascita dell’umanità. Una prerogativa che mostra la semplicità e la spontaneità di cui dovrebbe essere il “contatto umano” con l’altro. Un contatto che permettere ad entrambe le parti di accostarsi strettamente lasciandosi toccare nella profondità e aprirsi, senza artifizi, alla relazione. Questo accade, quasi per caso, quando nasce la consapevolezza che oltre al singolo c’è l’altro; quando l’uomo coglie la sua unicità imparando a coniugarla con la reciprocità, “sì è unici, ma non gli unici”.
Non può esserci crescita individuale senza riconoscere il “tu” in vista del “noi”: ogni qualvolta che si compie una scelta, si elabora un progetto o si assume una decisione non si può ignorare di considerare gli effetti che l’incontro avrà sull’altro.
Il “Noi” è una comunità che nasce nel momento in cui si struttura il dialogo con l’altro, cioè quando all’io egoista subentra la reciprocità appunto.
Il “Noi” è minato, d’altro canto, tutte le volte in cui ci si barrica nella propria posizione senza compiere alcun tipo di atto di accoglienza, di dialogo e di compenetrazione verso l’altro. In tutti questi casi l’altro rimarrà sempre estraneo e persino nemico.
Il preoccuparsi, l’occuparsi, la responsabilità verso l’altro – o gli altri – presuppone un cammino lungo, impegnativo e faticoso, le cui tappe passano dall’aratura interiore alla cura-coltivazione verso l’altro. Non si è uomini veri se si ‘abdica’ ad un imperativo: compenetrarsi nell’altro.
Buber insegna che l’ “Io-Esso”, terreno dei rapporti impersonali e superficiali, deve cedere il posto, sia pure nella misura di tutti gli umani limiti, all’ “Io-Tu“, laddove nascono relazioni autentiche, disinteressate e dunque autentiche.