
Preoccupati i Sindacati per i numeri ufficializzati dal Ministero dell’Interno, che sono molto al di sotto delle stime
Il contrasto al lavoro nero, domestico ma soprattutto agricolo, passa attraverso la regolarizzazione delle situazioni border line o completamente fuorilegge.
Nei giorni scorsi, esattamente il 15 agosto, vi è stato il termine ultimo per la presentazione delle istanze sull’emersione dei rapporti di lavoro irregolari.
Secondo un primo resoconto, che ha stilato il Ministero dell’Interno, la nostra Regione non ha fornito i dati auspicati e i dati forniti la pongono tra le prime in Italia per numero di soggetti dediti al lavoro irregolari, soprattutto nei campi, perché manodopera sottopagata o extracomunitaria. Infatti, nella nostra regione si stima una platea di circa 20mila irregolari solo in agricoltura. Ebbene le domande inviate ammontano a 2871; la maggior parte concentrata nelle province di Foggia (1268) e Bari (620). Seguono la provincia di Lecce con 287, quella della Bat con 257, Taranto 222 ed infine Brindisi con 217. Pertanto, se la stima dei 20mila irregolari in agricoltura è veritiera a fronte della 2871 domande presentate, si stanno regolarizzando meno del 15% dei potenziali fruitori.
Tra i primi ad intervenire su questa vicenda è stato Pietro Buongiorno, segretario generale della UILA Puglia, il comparto dei lavoratori agricoli della UIL: “I numeri confermano, purtroppo, le nostre perplessità iniziali, espresse più sull’elaborazione della norma che sull’orientamento della stessa – afferma Pietro Buongiorno – il primo limite della norma è aver posto, di fatto, nelle sole mani del datore di lavoro la possibilità di richiedere la regolarizzazione: questo ha fatto sì che caporali e sfruttatori di ogni genere si siano fatti avanti offrendo ai lavoratori irregolari contratti di lavoro fittizi, necessari per ottenere un permesso di soggiorno, peraltro provvisorio, in cambio di diverse migliaia di euro”.
Ma la maniera per ovviare a simili stratagemmi era abbastanza semplice e facilmente praticabile: “Ridare una chance a circa 60 mila lavoratori migranti, già presenti nel nostro Paese –prosegue Pietro Buongiorno- che erano già in possesso di un permesso di soggiorno per lavoro stagionale scaduto e non rinnovato a causa dell’emergenza sanitaria. La procedura per il rinnovo dei permessi di soggiorno è stata concessa per i cittadini stranieri il cui permesso di soggiorno era scaduto dal 31 ottobre 2019 in poi, tutti gli altri di fatto sono stati esclusi. Per i 60mila si trattava di lavoratori già censiti che, a fronte di una regolare proposta di contratto, potevano essere subito impiegati nelle fasi della raccolta”.
Inoltre la Uila ma anche Cgil e Uil, avevano chiesto che l’azienda autocertificasse che “con tutti gli altri lavoratori, addetti e collaboratori impiegati, salvo quelli oggetto della domanda di emersione, sussistesse un rapporto contrattuale regolare e rispettoso della normativa vigente e della contrattazione collettiva, anche con riguardo alla salute e alla sicurezza e agli obblighi contributivi e previdenziali”.
Purtroppo, una occasione persa che avrebbe potuto mettere all’angolo il lavoro nero, quel caporalato che ha portato tristemente la Puglia sulle cronache nazionali per la morte, nelle campagne di Andria, della bracciante di San Giorgio Jonico Paola Clemente, avvenuta il 13 luglio del 2015. Paola era sposata e madre di tre figli.
Forse con un po’ più di coraggio, lo Stato avrebbe potuto rendere la possibilità di liberarsi dalle catene del lavoro irregolare più a portata di mano di quanti, ogni giorno, sono costretti a vivere e a sottostare a ricatti ed ingiustizie. Quelle stesse ingiustizie che, oltre un secolo fa, portarono un cafone di Cerignola, Peppino Di Vittorio, a raccontare al mondo l’amara vita dei braccianti pugliesi.