L’amore per Cristo, la passione per la bellezza e per la verità
La lettura del recente libro-intervista di Benedetto XVI, Ultime conversazioni, mi ha riportato alla mente alcuni passaggi dei suoi tanti discorsi, libri e interventi che costituiscono un sicuro e solido punto di riferimento per il futuro della Chiesa cattolica e per chiunque si senta in ricerca di un Tu capace di dare un senso a questa vita.
Tra i tanti punti che si potrebbero ricordare, ne scelgo tre: l’amore per Gesù Cristo, l’interesse per la bellezza (l’arte, la poesia di Dante e la musica), la passione per la verità e la carità.
Circa la prima, c’è da dire che Ratzinger è stato il primo Papa ad aver pubblicato ben tre libri sulla figura del fondatore del cristianesimo. Nella sua ricerca egli ha sempre tenuto insieme il metodo dell’analisi storico-critica dei Vangeli e la visione cristologica che ogni vangelo possiede per sua natura. Da tale indagine risulta il ritratto di un Gesù storico non separabile da quello della fede, in una mirabile sintesi tra scienza e religione, tra l’aspetto filologico e la personalissima testimonianza di chi ha incontrato Gesù e ne ha affidato il ricordo alla penna.
Nell’ultimo libro della trilogia, L’infanzia di Gesù, soffermandosi sull’annuncio ai pastori della nascita di Cristo, egli scrive: “La grazia di Dio sempre ci precede, ci abbraccia e ci sostiene. Ma resta anche vero che l’uomo è chiamato a partecipare a questo amore, non è un semplice strumento, privo di volontà propria, dell’onnipotenza di Dio; egli può amare in comunione con l’amore di Dio o può anche rifiutare questo amore”. Queste parole sono di una straordinaria attualità: sempre più spesso, infatti, l’uomo rifiuta Dio perché pensa erroneamente che credere in un Altro significhi rinnegare la propria libertà, perdere la propria autonomia e non essere più capaci di pensare e agire con la propria testa. Invece, l’annuncio di Dio Amore che chiede all’umanità di aprirsi e credere in Lui, rivoluziona la tesi di cui sopra e apre il cuore e la mente all’accoglienza della grazia, ad un amore che, appunto, “sempre ci precede, ci abbraccia e ci sostiene”.
Questo amore si manifesta definitivamente nella carne di Cristo e raggiunge il suo massimo splendore nella sconvolgente non-bellezza della croce. Il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo è come un faro puntato all’indietro che permette di illuminare ogni parola e gesto del Figlio di Dio. Nell’omelia pronunciata la Domenica delle Palme del 2007, Papa Benedetto XVI invita ogni uomo a vedere nella follia della croce l’estremo atto dell’amore di Cristo, un amore che, come un cero, illumina quanto più si consuma “fino alla fine” (Gv 13,3): “Il Signore bussa con la sua croce: bussa alle porte del mondo, alle porte dei nostri cuori, che così spesso e in così gran numero sono chiuse per Dio. E ci parla più o meno così: se le prove che Dio nella creazione ti dà della sua esistenza non riescono ad aprirti per Lui; se la parola della Scrittura e il messaggio della Chiesa ti lasciano indifferente – allora guarda a me, al Dio che per te si è reso sofferente, che personalmente patisce con te – vedi che io soffro per amore tuo e apriti a me, tuo Signore e tuo Dio”.
Meditando su queste parole, è difficile non pensare ai crocifissi che Cimabue e altri artisti hanno realizzato consacrando la grande tradizione del Cristo patiens. Conficcato sulla croce, il Cristo morente viene raffigurato con gli occhi chiusi, il capo reclinato sulla spalla e il corpo ormai abbandonato sul legno. Egli non è più il Cristo che trionfa e che, essendo Dio, non può soffrire; ma, al contrario, da impassibile diventa un Dio che patisce e soffre con e per l’uomo, che per lui si lascia crocifiggere e morire, in una nuova e rivoluzionaria idea di bellezza di cui solo l’arte -e la fede- può coglierne l’essenza.
Siamo così giunti, senza neanche accorgercene, al tema della bellezza. Se è vero che compito dell’arte è lasciare intravedere l’invisibile, la stessa cosa si può dire della fede; per questo motivo ogni forma d’arte diventa essenziale per il cammino di chi è in ricerca e non si accontenta del visibile. Il 21 novembre 2009, incontrando nella Cappella Sistina gli artisti provenienti da tutti il mondo, Papa Benedetto ebbe a dire: «Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello. Una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto. L’espressione di Dostoevskij che sto per citare è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: “L’umanità può vivere – egli dice – senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”».
Parole che non hanno bisogno di alcun commento, ma che, in tempi in cui si crede erroneamente che la cultura e il culto del bello debbano essere un esclusivo diritto dei ricchi, risvegliano la coscienza a inseguire le tracce di quella bellezza diffusa intorno a noi e a riappropriarci, a livello personale e istituzionale, di quanto ci appartiene; a cominciare da quelle bellezze nascoste e disseminate in tutta Italia, di cui parla Michele Ainis (cfr. introduzione al libro di V. Sgarbi, Il tesoro d’Italia. La lunga avventura dell’arte).
L’arte, la musica (Ratzinger ama suonare il pianoforte e ascoltare la musica di Mozart), la letteratura (quante volte egli ha citato i versi di Dante nei suoi discorsi e perfino nelle encicliche, senza dimenticare i grandi romanzi russi) aiutano l’uomo a comprendere se stesso e a non rinchiudersi nello stretto ed angusto spazio delle sue idee e dei suoi giorni. La bellezza spinge a guardare oltre l’orizzonte visibile e insegna all’uomo a non vivere di solo pane, di sola materia.