L’arresto di Matteo Messina Denaro: lo Stato che educa i suoi figli

La storia della mafia ha una sola verità prevalente: il dolore causato e i morti sacrificabili, quelli punibili perché fossero d’esempio e monito, magari appartenenti alla stessa “famiglia mafiosa”; e le vittime innocenti coinvolte e sacrificate nell’esercizio arbitrario e delirante di un potere anacronistico e patriarcale. Sopra ogni cosa, il dolore di tante famiglie che pagano il prezzo di lutti senza senso.

Esiste poi, disseminata in un tempo immemore, la posizione ambigua di certa politica: una sorta di miopia o viltà che porta, in tutta coscienza, a dubitare che in certe stanze del potere nessuno abbia mai intuito la vera consistenza e pericolosità di tutte le associazioni di stampo mafioso che albergano e gozzovigliano indisturbate nel nostro Paese. E fa specie la capacità degli uomini appartenenti a dette organizzazioni di saper essere sino in fondo vigliacchi: di colpire individui senza distinzione di età e sesso talvolta soli e inermi.

Persiste ancora la storiella che la mafia in Italia sia circoscritta al solo Meridione: fa comodo pensarlo per delimitarla, delegittimarla e toglierle lo spazio che si è conquistata ovunque nel mondo.

Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è stato arrestato. Latitante da più di 30 anni e condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido; come per le stragi del 1992, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, oltre che per gli attentati del 1993 a Milano, Firenze e Roma.

L’arresto è avvenuto nella clinica “La Maddalena” di Palermo, dove sotto il falso nome di Andrea Bonafede doveva curare con della chemioterapia un tumore. L’operazione di cattura è stata condotta dai carabinieri dei Ros, del GIS, dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Di Guido. Il latitante, tra i più pericolosi al mondo, è stato condotto in una struttura carceraria di massima sicurezza.

Lo Stato ha celebrato i funerali di ogni suo figlio massacrato, dire ucciso è riduttivo, ha dato a strade e piazze il nome di questi figli perché siano ricordati. Lo stato oggi, 16 gennaio 2023, ha alzato il pugno per colpire chi minacciava altri suoi figli indifesi: un buon padre non dovrebbe usare la forza, ma tra gli assassini a tempo pieno e i servitori delle proprie Istituzioni vi è una sproporzione di moralità abissale. Non è la semplice “banalità del male”, è l’arretrare di chi non ha di che sfamare le proprie famiglie dinanzi alla ricchezza dissacrata del crimine; è il grido animalesco di un codardo, definizione di ogni mafia, nascosto nell’ombra comoda di tante assenze sociali, economiche e culturali; è l’urlo all’orecchio dell’uomo che cerca di vivere con le sue sole forze.

Oggi lo Stato ha educato i figli che siamo, ci ha insegnato che il coraggio consiste nel superare la paura, non nel non provarla.

Questo non è un Paese per vigliacchi, è la casa di eroi comuni, di esseri umani che coltivano e diffondono la bellezza della vita. E che la “merda” che malvolentieri calpestiamo e il cui odore nauseabondo ci soffoca, possa diventare concime per la terra della giustizia.