
«Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità …Contro la stupidità non abbiamo difese»
(Dietrich Bonhoeffer)
«Questi vengono a rubarci il lavoro!» – «Sono sporchi e sfaticati» – «Chissà se fuggono veramente per motivi economici. Si trovassero il lavoro a casa loro» – «E che ne sappiamo se tra loro non ci sono degli infiltrati?»…
Caro lettore, adorata lettrice,
non ti sto riportando i pregiudizi di tanti italiani sui pochi immigrati che arrivano in Italia.
Prevengo una prima obiezione: non ho scritto “pochi” per errore. Sono davvero pochi, in proporzione: per convincersene, basterebbe conoscere sia le cifre assolute di quanti arrivano nel nostro Paese ogni anno, sia quelle relative – una cosa è se arrivano 100.000 immigrati su 60 milioni, un’altra se ne arriva un milione in una popolazione di tre o quattro milioni –, sia quelle degli altri Paesi Europei che da sempre si misurano con l’immigrazione – vedi il milione di Ucraini arrivati di botto in Germania.
Senza contare, poi, che una grandissima parte degli immigrati che arrivano in Italia tendono poi a transitare verso le nazioni del nord Europa.
Dunque, dicevo, non è di questo che sto parlando.
Non mi riferisco nemmeno ai pregiudizi, espressi esattamente negli stessi termini, che negli Stati Uniti marchiavano a sangue i nostri emigrati arrivati lì, a inizio Novecento, spinti dalla disperazione, dalla fame o, più semplicemente, dalla speranza di una vita e un mondo migliori.
E dunque? Dunque, le parole che ho virgolettato a inizio caffè sono state pronunciate da tedeschi ai danni di altri tedeschi.
Hai letto bene. Io le ho ascoltate nel Erinnerungsstätte Notaufnahmelager Marienfelde che si può tradurre più o meno così: Memoriale del centro per i rifugiati di Marienfelde.
Marienfelde è a sud ovest di Berlino ed è lì che costruirono un centro profughi per i tedeschi che fuggivano da Berlino Est. Ho scritto “centro” e non “campo”, perché lo costruirono proprio come centro residenziale, enorme: con palazzine in muratura che pensavano di rivendere a “emergenza” finita. Solo che il centro funziona ancora, oggi per accogliere immigrati dell’Est piuttosto che siriani, e solo una piccola parte è adibita a Memoriale.
E così ho scoperto che i tedeschi, che fuggivano dalla dittatura e dalla fame e speravano di essere attesi a braccia aperte dai più fortunati residenti dell’Ovest, erano “accolti”, si fa per dire, dai loro stessi connazionali con sospetto e diffidenza, erano trattati da spie e traditori, erano sottoposti ad almeno tre settimane di visite, pratiche burocratiche, interviste e interrogatori (vabbè: oggi le tre settimane sono diventate tre anni…) per ottenere dodici diversi timbri prima di vedersi riconosciuti lo status di rifugiati e poter così vedersi assegnato un lavoro (un lavoro vero, non uno da schiavi del caporalato…).
Ultima nota: fu propria questa massiccia emigrazione dalla Germania Est a quella Ovest che gettò sul lastrico l’economia della DDR e che contribuì significativamente al “miracolo economico” della Repubblica Federale Tedesca.
Quante analogie col nostro presente, vero?
Quasi dimenticavo: ho potuto fare questa esperienza per aver accompagnato in mobilità Erasmus un gruppo di miei docenti e studenti adulti del CPIA BAT “Gino Strada”. Grazie al consorzio di scuole brillantemente capeggiato dall’IPSSEC “Adriano Olivetti” di Monza, grazie alla efficientissima organizzazione della Abroad Consulting di Berlino, grazie ai fondi europei, essi hanno potuto vivere una settimana di vera formazione a Berlino, insieme a studenti e docenti dei CPIA di Cinisello Balsamo e Lecco.
Sorvolerò sulla maggior parte delle esperienze, quali le visite al lager di Sachsenhausen, al memoriale del Muro, al Tränenpalast (Palazzo delle Lacrime), a East Side Gallery, a Potsdam, al Reichstag, all’Humboldt Forum, al KullturBrauerei (il museo della vita e della miseria quotidiana della popolazione di Berlino Est prima dell’abbattimento del Muro), al Checkpoint Charlie, al Memoriale della vittime della Shoah nei pressi della porta di Brandeburgo, al Museum Blindenwerkstatt di Otto Weidt, una sorta di Schindler berlinese che nella sua fabbrica di scope assumeva solo ciechi o ipovedenti ebrei e che, quando venivano arrestati, li seguiva fino ad Auschwitz o Terezin pur di provare in ogni modo ad aiutarli.
Mi soffermerò brevemente solo su tre momenti che mi sono parsi particolarmente significativi.
Il primo. La visita alla SA–Gefängnis Papestraße ovvero il Memoriale della prigione SA Papestraße. Si tratta di un posto fuori del comune, una sorta di lager in miniatura, vi furono incarcerate fino a 400 persone per volta, ammassate in poche celle, da marzo a dicembre del 1933. È il solo sito storico rimasto a testimoniare che la strategia del terrore nazista a Berlino partì da subito e che già allora furono sperimentate, sulle migliaia di prigionieri che vi transitarono, tecniche di tortura e disumana violenza che poi sarebbero state messe a sistema per la “soluzione finale”. E accadde a Berlino, tra abitazioni di civili, in una cantina. Solo che nessuno disse e fece niente, nonostante le urla dei torturati.
Il secondo. La visita alla Topografia del terrore, in tedesco Topographie des Terrors, un Memoriale interamente dedicato a illustrare al mondo, ma soprattutto agli stessi tedeschi, le atrocità compiute dal regime nazista: non credo che in Italia ci sia nulla di simile. A quanto pare, noi la polvere tendiamo a nasconderla sotto il tappeto. I tedeschi, invece, continuano a costruire musei e li chiamano memoriali. Per non dimenticare.
Il terzo. L’incontro con un germanissimo docente dell’Università di Stanford che, in un amabile e sorridente inglese, ci ha sbattuto in faccia tutte le contraddizioni del nostro Paese e ci ha ricordato che se non capiremo che di migranti noi abbiamo bisogno, che in realtà non siamo noi ad aiutarli, ma loro ad aiutare noi, e che, tra le altre cose, ci ricordano “come si fanno i figli”, molto presto, nell’arco della nostra stessa vita, perderemo un terzo della popolazione italiana, passando da 60 a 40 milioni. E sarà un disastro dal punto di vista economico e del welfare. Appunto. Magari dovremmo pensarci un attimo. Magari ci torna la memoria di quando emigranti eravamo noi.
Dietrich Bonhoeffer: «Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese».