
Il conflitto Russia-Ucraina risulta devastante non solo per le tante, troppe vittime e per i potenziali rischi di escalation, ma molto anche per il massiccio utilizzo del linguaggio religioso segnatamente cristiano. Il patriarca Cirillo di Mosca, infatti, ha investito più volte la sua autorità nel giustificare l’aggressione dell’Ucraina, descrivendola come una sorta di guerra metafisica contro un Occidente moralmente corrotto, per giungere, assurdamente, ad accompagnare la benedizione delle truppe russe col dono di un’icona di Maria. Sulla stessa linea, Vladimir Putin, con parole definite blasfeme, cita l’evangelico «dare la vita per i propri amici», nel fallace tentativo di nobilitare le morti di tanti giovani soldati nell’aggressione all’Ucraina.
Ci troviamo di fronte a una brutale aggressione, determinata fondamentalmente da scelte geopolitiche, che, per cercare argomenti giustificativi, utilizza anche linguaggi religiosi, arruolando persino il Vangelo. Purtroppo le chiese, in alcune aree dell’est Europeo sono, in genere, assai legate allo stato per vincoli storici, sociali o istituzionali, per cui, incontrano difficoltà a pronunciarsi in modo diverso dagli organi statali. Ma è proprio dalla religione che ci si attendeva un contributo alla soluzione dei problemi che travagliano i rapporti tra Russia e Ucraina!
Alla base di ogni guerra ci sono sempre errori politici, debolezze, mancanza di vigilanza e d’intuizione. La guerra non è solo scatenamento di aggressività o di violenza, ma è una prepotenza organizzata. Tuttavia, non sono i popoli che fanno la guerra con i loro istinti di aggressività o le loro violenze individuali, sono gli stati che la vogliono con forze armate istituzionalizzate e formate professionalmente. La violenza delle popolazioni non gioca alcun ruolo! Un popolo può essere dolce e pacifico, ma essere guidato da uno stato bellicoso. La guerra è, soprattutto, una questione di stati e di eserciti. Occorre ricordare la concezione del generale prussiano Clausewitz (1780-1831): la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, cioè con le azioni armate.
La guerra, quindi, obbedisce a fini e obbiettivi politici e i morti li piangono altri! È lo stato che fissa i propri fini politici. Ora che conosciamo la possibilità di una guerra atomica, ci rendiamo conto di come, purtroppo, essa entri nell’ordine delle eventualità. L’avvento di questo tipo di guerra, per la violenza sproporzionata delle armi moderne, modifica il concetto di vittoria e di sconfitta, in quanto i mezzi bellici minacciano la stessa sopravvivenza della biosfera sul nostro pianeta. Gli armamenti nucleari esigono una nuova etica di pace, che non trovano più valide le tradizionali distinzioni tra pacifismo e teoria della guerra giusta. La guerra non può più essere un’opzione politica. Adesso l’opposizione di principio ad ogni conflitto bellico diventa la sola etica umana possibile. L’azione per la pace non può più concentrarsi sulle questioni del disarmo e sui metodi degli arbitrati internazionali, ma deve ricercare le cause di conflitto negli ingiusti rapporti di forza che prevalgono sulla ragionevolezza di un dialogo.
Uno sguardo retrospettivo nella storia conduce a pensare che quasi tutte le guerre avrebbero potuto essere evitate. I conflitti, infatti, avrebbero potuto essere prevenuti, limitati in tempo, o risolti con altri mezzi, se si fosse agito tempestivamente. Il fatto è che le guerre obbediscono a forze politiche autonome. Quando non si apportano in tempo le soluzioni, la politica si orienta insensibilmente verso la guerra, e, a partire da un certo momento, anche in modo irreversibile, perché, ai nostri giorni, le forze armate costituiscono la più importante delle burocrazie di uno Paese: formano, spesso, un vero e proprio stato nello stato ed il loro parere costituisce uno degli elementi più determinanti di cui lo stato deve tener conto.
Costruire la pace nel XXI secolo è diventato il primo requisito per salvaguardare la vita sulla terra e costruire un futuro in maniera credibile. Ma la politica ha bisogno di venire fuori da una logica di interessi da “pianerottoli condominiali” e ricercare, invece, una profezia nuova, per uscire dal vicolo cieco in cui si trova. Dove trovare questi profeti? Intanto, mentre in una parte del mondo ci si muove verso un conflitto nucleare e i duri strappano le grida degli innocenti, un’altra parte sta andando verso la carestia di massa e numerose persone trovano sempre più difficile danzare e sorridere. Ci si chiede: è ancora possibile credere? Si, è possibile qualora la religione genuina non venga isolata mai dalla cultura, dalla politica e della società, ma vi si trovi intimamente coinvolta come mente critica e non allineata. Quando la religione si degrada ad “ancella” della politica, allora diventa una cosa morta e senza senso. È proprio dall’insoddisfazione di ciò che è stato raggiunto, che la religione attinge la forza per aprire nuovi orizzonti sull’avvenire, e quindi grazie al suo dinamismo, diventa profezia e rafforza il suo carattere di sfida.
La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. Chi supera la crisi supera se stesso… Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e i suoi disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni.