«Un giorno credi di essere giusto
e di essere un grande uomo
in un altro ti svegli e devi
cominciare da zero»

(Edoardo Bennato)

Per quelli della mia generazione Edoardo Bennato non ha bisogno di presentazioni: le sue “canzonette”, che solo canzonette non erano, sono state la colonna sonora della nostra sognante e visionaria adolescenza.

Una adolescenza che rimpiango, non per mera nostalgia del tempo che fu, ma perché era bella, era sazia di idee, aneliti, aspirazioni. Le stesse che non sempre vedo nei giovani di oggi, a danno dei quali stiamo facendo di tutto per rendere vuoto il presente e disperante il futuro.

Ma non è sulla condizione dei nostri ragazzi che intendo soffermarmi questa volta, per quanto sia un tema che mi sta tanto a cuore, e non da oggi.

Vorrei piuttosto riflettere con te sul dolore senza conforto. Su quel dolore che potremmo definire, e che percepiamo, “a vuoto”. Sul dolore che tocca lasciare andare.

Visto che ultimamente mi vien facile suggerirti canzoni da ascoltare, prova a lasciarti cullare dalla voce di Césaria Évora in Sodade e poi farla seguire in loop da L’isola che non c’è, ancora di Bennato. Confido che potrai farti da solo, o da sola, un’idea ben più precisa di ciò che cerco faticosamente di balbettare.

Siamo la generazione che ha visto tramontare le ideologie. Siamo quelli che sono passati dalla visione di un mondo fatto di grandi ideali alle ancor più grandi solitudini che inseguono fantasmi. Non sappiamo più in chi o cosa credere. Sforniamo e archiviamo nuovi leader ogni due anni e quelli che beatifichiamo da morti erano con ogni probabilità delinquenti da vivi.

Solo che dimentichiamo. Rimuoviamo. Cancelliamo. E andiamo a fondo.

Dov’è l’isola? Quale il cammino per São Tomé? Chi è giusto e grande uomo, se nessuno, ovviamente neanche io che ti scrivo, lo è?

Ecco, mal di vuoto, mal di niente, mancanza di un ubi consistam, il punto di appoggio capace di sollevare il mondo o perlomeno un’esistenza.

Caro lettore, adorata lettrice, non preoccuparti. Mi fermo qui. Si può mettere fine ad una geremiade così come si può uscire da una relazione malata.

Let it be, cantano i Beatles. Lasciamo andare. Ricominciamo da zero o, come suggerisce l’immortale Troisi, almeno da tre: tu, io e una buona carta lasciata alla fine del gioco.

Sulla mia scrivania custodisco gelosamente una tavoletta che una sorella del cuore mi regalò per il mio primo giorno da dirigente scolastico, ormai quattro anni fa.

Riporta una frase di Madre Teresa di Calcutta:

«Non tutti possiamo fare grandi cose,

ma possiamo fare piccole cose con grande amore».

Umberto Saba:

«Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco».

E don Gigi Verdi:

«Quando mi sono sentito amato, mi sono buttato».

Let it be.

***

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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

2 COMMENTI

  1. Buongiorno, non ho parole, Direttore, non la conoscevo fino a 15 minuti fa, è la prima volta che leggo le sue verissimoe e bellissime parole piene di passione per la vita e che vivo e faccio mie al 100% ogni santo giorno. Mi sento di essere esattamente come quello che, con le sue straordinarie parole, ha magnificamente descritto insieme al suo pensiero e alla visione del Presente. Li faccio miei,ovviamente nel mio piccolo. Ha citato frasi di persone immense e irrangiungilbili, come la piccola Suora albanese, che si è dedicata e trasferita giovanissima in un Paese e in una città con i poveri più poveri di tutti e abbandonati a loro stessi, saltando addirittura il proprio misero pasto nei primi tempi a Calcutta per soddisfare chi aveva piu bisogno di lei … e trattati peggio degli animali a cui tante persone occidentali dedicano quotidianamente molto più amore, denaro ed attenzioni che agli esseri umani, e talvolta li capisco, visto cosa succede ogni giorno dappertutto. La ringrazio molto ancora, la seguirò sempre da oggi in poi anche perché, come ha già detto Lei, il nome Odysseo esprime già tutta la sua Forza di Conoscenza e Intelligenza che l’arte sconfinata di Omero ha tramandato all’Eternita’ insieme alle gesta di Ulisse.
    A presto.
    Paolo Candela da Verona

    • Che dire, gentile Paolo? Grazie mille per la sua attenzione e per le sue parole. A presto. Paolo

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