
Parlare di “Sacro Cuore” con le rispettive pratiche devozionali ad esso legate è certamente un tornare indietro negli anni e nei secoli fino al XVII secolo, allorquando una monaca delle Visitantine ricevette a Paray-le Monial, in Francia, delle mistiche rivelazioni.
Oggi forse non c’è più spazio per vagare tra rivelazioni e visioni, presi come siamo da problematiche relazionali che rendono difficile il nostro quotidiano là dove, in campo clericale, gli accoliti vengono apprezzati più dei concelebrati e, in campo sociale, i gregari e i “portaborse” più delle intelligenze collaboratrici.
L’immagine “devozionale” del costato aperto del Cristo in croce però evoca una spiritualità riparatrice che va oltre il culto sic et simpliciter; addossandosi i fardelli di tanti, diventa proposta profetica di un’attualità travolgente nonostante il rischio di rivelarsi una forma di debolezza, di passività, di rinuncia ai diritti personali, di semplificazione dei problemi o di fiducia ingenua nelle persone. La riparazione richiama la dimensione sociale della persona detestando la punizione vendicativa, perché questa blocca chi ha sbagliato e abbrutisce chi ha subito; se l’individuo vivesse chiuso in se stesso, l’idea della riparazione risulterebbe assurda.
La riparazione si comprende soltanto superando l’individualismo tipico di certi ambienti e accettando la socialità come istanza primaria della gente che si realizza nella storia, non a livello di semplice beneficenza (io per gli altri), nella misura in cui il “per gli altri” va unito al “con gli altri”, inteso come solidarietà collaborativa. Questo mette in risalto il dialogo e la comunicazione quale verità elementare dell’essere umano: il porsi “di fronte” agli altri con la possibilità “di far fronte” all’altro costituisce l’abbattimento di ogni idillio di onnipotenza. Abbiamo bisogno degli altri per sopravvivere, crescere, maturare e amare; l’altro mi interpella e mi responsabilizza, distrugge la mia autosufficienza e il mio sogno di dominazione: bussa alla mia porta, se io rispondo a questa interpellanza mi elevo eticamente, divento persona e trovo significato per la mia esistenza; nella solitudine, soprattutto quella provocata da chi cerca soltanto “accoliti” o gregari, il vivere diventa privo di senso.
Un rapporto di armoniosa e serena collaborazione non è solo necessario all’equilibrio psichico della gente, ma è utile anche alla sopravvivenza della stessa collettività; infatti la gente amplifica la propria esistenza portando il fardello del suo prossimo trasformando così l’esistenza umana in una coesistenza, offrendo alle istituzioni e a ogni forma di comunità civile la possibilità di camminare verso una convivenza sempre più umana, spalancando le porte alla fraternità.
Il “Riparatore” diventa così una persona cara: un profeta dell’amore e un servitore della riconciliazione.