«All’uomo che possiede solo un “martello”, tutto ciò che incontra appare come un “chiodo”»

(Natalia Ginzburg)

L’accanimento a voler cangiar martello, nel penetrare un “chiodo fisso mentale”, spuntato di ragione e di verità, trova l’infinito tempo che vorrà. Ma sterminato sarà il tempo per l’assesto del chiodo a collocarsi, ancor meno per il “martello”, a deteriorarsi. Si abbondi pure in speranze utopiche rampognando il poco tempo che ci è dato per cercare infruttuosamente un “attrezzo” già tenuto in mano e diventato l’ossimoro del respiro di un deceduto.

Ma val la pena distribuirsi in lungo e in largo, al solo scopo di accaparrarsi un “merito” trascendentale, kantiano, dove non solo mancante di esperienza, pure la mescolanza di elementi fasulli (idee) giammai porteranno l’impasto raggiunto ad una lievitazione essenziale?

Qualcuno affermerà che tentare per l’impossibile è prerogativa che fa parte della natura umana e distrarre chi si cimenta in certe imprese, diventa impossibile quanto lo sarebbe il passaggio del cammello attraverso la cruna di un ago.

Le grandezze, però, con la fantasia si possono immaginare a piacimento: si potrebbe giungere a far, della cruna, una galleria per farci passare, non solo un cammello, ma una intera carovana. Restando nella fantasia ci manterrebbe liberi da qualsivoglia, serio impegno…

Si è instaurata a “pieni titoli” la corruzione, in lungo e in largo appunto, da far sembrare il mondo, il cortile di casa. Sembra che non ci si possa campare senza fregare l’altro. Sembra che sia questo il “chiodo fisso” per sentirsi una persona compiuta?

Il sopravvento che han preso gli illeciti, a discapito dei comportamenti ortodossi, sta ad una bellissima giornata di sole, come una fitta nebbia in Val Padana.

Non siamo più allineati, purtroppo, ad un’etica consona per un vivere civile. Persino l’uditorio non riesce più ad ascoltare la predica del prelato che pur s’è fatta rauca a furia di ripetersi. Questo malgrado l’aiuto degli aggeggi acustici e gli aiuti degli echi che arrivano dalle navate, come fosse l’Ente Supremo a dar manforte all’oratore di turno.

Sembra che i punti di vista per applicare lo “scotto” siano così molteplici e accomodanti che quasi, vengano recepiti come inviti a comportarsi nella maniera sbagliata, visto le sanzioni da pagare nei confronti del danno causato.

Almeno si spera che il Santo, ripetuto Natale a fin di bene, possa alleggerire la zavorra degli egoismi che ci portiamo appresso a mo’ di borsellino degli spiccioli per eventuali sprazzi di carità. Ché il nostro ossidato chiodo fisso rimanga tale nella cassetta degli strumenti, insieme al martello delle nostre malandate convinzioni!

Poiché non tutto rimarrà definito finché la brama di salire più in alto continua ad escluderci da panorami sensati, reali, dove le cose si possono vedere e toccare con mano. Rimanere nella realtà significa: viverla così come si presenta; darsi eventuali cernite mentali rispetto alle discrepanze illecite che si presentassero nel sacco di “frumento”, sotto forma di loglio, zizzania per rendere il presente scevro da impurità e di aspetti negativi.

Vivere la giornata in pace con noi stessi, prima ancor di portarne una surrogata, oltre la nostra soglia di casa, sarebbe la cosa più sensata, essenziale da perseguire.

I nostri divisamenti hanno valore effettivi, realizzabili solo quando l’impegno per attuarli non soffra né di fiacchezza né di sotterfugi, ma di sana e vigorosa convinzione nel raggiungerli.

Si sta avvicinando un “Anno Nuovo”, dove faremo in modo che non siano solo le obsolete solfe, (fuorvianti tradizioni), scadute per validità affettive ma rimaste come atti ripetitivi, a voler adombrare le essenzialità dei nostri tempi: la pace, la fame da debellare, le tante guerre ancora in atto, le incomprensioni tra gli uomini, la leggerezza nell’uso della legalità, il rispetto dell’ambiente in cui viviamo e l’amore per esso. Sarà certamente questo il nuovo, non ossidato “chiodo” appuntito da conficcare, configgere nelle nostre menti e farne nostre prerogative per un Nuovo Anno Migliore.


FonteFoto di Michael Schwarzenberger da Pixabay
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Salvatore Memeo è nato a San Ferdinando di Puglia nel 1938. Si è diplomato in ragioneria, ma non ha mai praticato la professione. Ha scritto articoli di attualità su diversi giornali, sia in Italia che in Germania. Come poeta ha scritto e pubblicato tre libri con Levante Editori: La Bolgia, Il vento e la spiga, L’epilogo. A due mani, con un sacerdote di Bisceglie, don Francesco Dell’Orco, ha scritto due volumi: 366 Giorni con il Venerabile don Pasquale Uva (ed. Rotas) e Per conoscere Gesù e crescere nel discepolato (ed. La Nuova Mezzina). Su questi due ultimi libri ha curato solo la parte della poesia. Come scrittore ha pronto per la stampa diversi scritti tra i quali, due libri di novelle: Con gli occhi del senno e Non sperando il meglio… È stato Chef e Ristoratore in diversi Stati europei. Attualmente è in pensione e vive a San Ferdinando di Puglia.