Il 29 marzo i cittadini italiani sono chiamati alle urne per andare a votare per il quarto referendum costituzionale della storia della Repubblica.

Nella specie si tratta del referendum costituzionale confermativo della legge sul taglio dei parlamentari, ovvero della legge costituzionale che modifica gli articoli 56 e 57 della Costituzione. La norma va a ridurre i deputati da 630 a 400, e i senatori da 315 a 200. Il percorso che ha portato alla emanazione della legge e al referendum è alquanto insolito. La discussione alle camere della legge costituzionale in oggetto è iniziata durante il Governo Conte I e nella seconda deliberazione del luglio scorso non si era raggiunta la maggioranza qualificata in ragione del fatto che, allora, il Partito Democratico e Liberi e Uguali si trovavano all’opposizione e avevano votato contro.

Tuttavia, come ben sappiamo, a settembre 2019 è nato un nuovo governo, espressione di una nuova maggioranza parlamentare: il Governo Conte II. Questo nuovo assetto parlamentare ha fatto sì che la legge sul taglio dei parlamentari venisse approvata con più facilità, soprattutto grazie ai voti di chi prima aveva votato in senso contrario. Tuttavia, il mancato raggiungimento della maggioranza qualificata dei due terzi ha fatto che sì che 71 senatori potessero chiedere un referendum costituzionale, in ossequio all’articolo 138 della Costituzione. Trattandosi di referendum costituzionale, per la validità non è necessario il raggiungimento del quorum, il che significa che l’esito del referendum sarà valido a prescindere dal numero di persone che andrà a votare.

Quello del 29 marzo è un referendum strano, e se vogliamo anche un po’ sfigato. Strano innanzitutto perché nessuna forza politica sta facendo campagna elettorale o ha manifestato espressamente la propria posizione, questo un po’ perché opporsi al taglio è impopolare e un po’ perché al loro interno i partiti sono divisi sul tema. Inoltre, più o meno ogni schieramento ha cambiato idea sulla legge costituzionale in virtù dei vari cambiamenti che ci sono stati, pertanto non vogliono esporsi troppo. Sfigato poi perché per via del coronavirus e delle norme di sicurezza che governo nazionale e regioni stanno prendendo, molto probabilmente il referendum verrà rimandato.

Il cosiddetto “taglio dei parlamentari” è una misura che più o meno tutte le forze politiche, in momenti diversi della storia repubblicana, hanno provato ad introdurre. Per la felicità del partito che ha portato avanti questa battaglia, il Movimento 5 Stelle, questa potrebbe essere la volta buona. Tanto ormai a tagliare i principi costituzionali ci hanno preso gusto.

In un primo momento la legge può sembrare una svolta per il nostro paese. Nell’immaginario collettivo la riforma comporterebbe un risparmio per la spesa pubblica, renderebbe più efficiente e veloce l’organo legislativo, ma soprattutto apporterebbe un miglioramento alla qualità dei parlamentari e del parlamento. In realtà non è così. Le conseguenze del taglio, strano ma vero, sono più negative che positive. In primo luogo il risparmio è infinitesimale, ovvero pari allo 0,007 % della spesa pubblica; oltre a questo le garanzie per le minoranze parlamentari tenderanno a diminuire; inoltre, le conseguenze più gravi ci saranno sul piano della rappresentatività democratica. Tagliando il numero dei parlamentari, infatti, non diminuisce la popolazione e non si modifica il territorio, pertanto i nuovi collegi uninominali saranno geograficamente più estesi. Un altro rischio poi, come ha sottolineato Sabino Cassese, è quello dell’aumento eccessivo del potere dei partiti, tale per cui il nostro sistema diventerebbe più oligarchico.

Oltre a queste, che sono le conseguenze dirette della riforma, ciò che più spaventa è l’idea che vi sta dietro, e questo ci porta a chi ha voluto la legge e il vero motivo che ne sta alla base. Il M5S sin da quando era guidato da Casaleggio padre aveva in mente un’idea di democrazia diversa da quella attuale. La democrazia ideale di Casaleggio & associati era ed è quella digitale: una sorta di grandissima Piattaforma Rousseau nazionale in cui approvare leggi, votare, fare referendum, e via dicendo. E quindi per celare il vero intento perseguito con il taglio dei parlamentari, anche perché dire la verità sarebbe troppo poco populista e farebbe votare le persone in senso opposto, hanno da subito iniziato a parlare di casta, di costi troppo alti, di legislativo lento, di parlamentari fannulloni (tutti) e di risparmio.

Il fatto che molti parlamentari non si meritino l’importante carica che rivestono e che siedono in parlamento solo per i loro comodi è sotto gli occhi di tutti e non lo si può negare, ma pensare di risolvere questi problemi con la riduzione del numero è fuorviante e ingannevole. Ridurre deputati e senatori non significa scegliere i parlamentari in base al livello di competenza, significa solo ridurre la rappresentatività democratica.

Ecco perché credo che noi elettori dobbiamo dimostrare di essere superiori ai politici, che non sono capaci di prendere una posizione per il timore di perdere voti oppure perché hanno portato avanti un percorso politico penoso durante l’attuale legislatura. Dobbiamo avere il coraggio di votare anche in senso contrario al nostro partito di riferimento, e di prendere una scelta politica non partitica, ma una scelta a favore della democrazia.

Io non credo nella democrazia digitale, ma nella democrazia rappresentativa, con i suoi tempi, i suoi pregi e anche i suoi difetti, così come è stata prevista dalla Costituzione del 1948.


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