Garantire il rispetto dei diritti umani è ancora il migliore modo per eliminare le cause che costringono i rifugiati a lasciare i propri Paesi

Secondo l’organizzazione UNHCR, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, attualmente 70 milioni di persone in tutto il mondo, un numero senza precedenti, sono state costretti a fuggire dal proprio Paese. Di questi, circa 25,9 milioni sono rifugiati, più della metà dei quali di età inferiore ai 18 anni.

Settanta milioni di essere umani che percorrono attualmente il nostro pianeta, recando un fardello insopportabile: sono i profughi dei quali chi vive nel benessere facilmente si dimentica.

In questi ultimi 30 anni, precisamente dopo il crollo del muro di Berlino, il disfacimento dell’impero Sovietico e la prima e la seconda guerra del Golfo, molte cose sono peggiorate, basti pensare alla guerra che c’è stata nell’ex Jugoslavia, ai conflitti permanenti in corso sia nel Continente nero, dalla Somalia al Ruanda, sia in Asia, dalla Cecenia allo Sri Lanka, e alle repressioni del governo turco, dil quello iraniano e del dittatore siriano nei confronti della popolazione curda, oppure alle immigrazioni di massa dei poveri del Sud del Mondo verso i paesi ricchi.

Gli spostamenti in massa di popolazioni si possono dividere in due grandi categorie. Da una parte quelli che sono la diretta conseguenza della violenza dell’Uomo, della sua volontà di dominare, della intolleranza verso i suoi simili. Rientrano in questa importante categoria in particolare gli spostamenti dei rifugiati, cioè di quegli individui la cui vita o libertà sarebbe in pericolo se fossero costretti a ritornare nel loro Paese di origine. Dall’altra parte ci sono invece gli esodi che sono la conseguenza di calamità naturali, di sottosviluppo, di povertà, ma anche di catastrofi ecologiche. In questo caso le popolazioni in fuga non sono costituite da rifugiati in cerca di asilo, ma più semplicemente da essere umani in difficoltà che hanno bisogno di aiuto.

Può sicuramente ammettersi che, sia nell’uno che nell’altro caso, la gente è obbligata a lasciare il proprio Paese per una questione di sopravvivenza. Non è sempre facile isolare una causa precisa di fuga dei rifugiati, poiché i motivi che inducono le persone a fuggire sono generalmente molto complessi. L’esodo può avere per causa diretta una persecuzione individuale, un conflitto armato, ma anche una campagna di repressione d’ordine politico, economico, etnico o religioso; minimo comune denominatore è l’assenza o l’inefficacia del sistema di protezione nazionale, a volte responsabile diretto della situazione di crisi.

La grande maggioranza di rifugiati, oggi, non cerca di fuggire da atti di persecuzione individuale, pur tuttavia ancora presenti, ma dalla violenza generalizzata contro la popolazione civile, e dal radicale decadimento della condizione di vita quotidiane che ne consegue. Nelle economie di quasi sussistenza, i conflitti violenti arrestano la produzione ed impediscono la distribuzione di generi alimentari. Le conseguenze sono spesso drammatiche: carestia ed epidemia sono infatti pericoli ancora più gravi dello stesso conflitto armato, e determinanti per lo spostamento d’intere popolazioni.

Anche cause di ordine ecologico, per cui Paesi sottosviluppati vengono utilizzati come discariche di materie nocive, possono contribuire ad acutizzare la angoscia delle popolazioni. In effetti l’erosione del suolo, la siccità ed altri problemi ambientali, sono comuni, ad esempio, a gran parte del continente africano, continente dove, con il 10% degli abitanti del pianeta, si conta il 30% della popolazione mondiale di rifugiati. In casi estremi, come nel caso del Kurdistan sia nella parte irachena che in quella turca o iraniana, la distruzione dell’ambiente naturale (ad esempio la distruzione totale di ottomila villaggi con tutta la loro vegetazione e con la chiusura dei bacini naturali per il rifornimento dell’acqua) è stata impiegata, deliberatamente, come arma di guerra contro la popolazione curda.

Tra le varie forme di conflitto esistente, quello etnico è divenuto, negli ultimi anni, la causa principale di fuga dei rifugiati. Naturalmente, pochi Stati moderni sono etnicamente omogenei: esistono infatti, almeno 5mila gruppi etnici diversi, all’interno dei 196 Stati indipendenti che esistono oggi nel mondo, quindi il progetto di una eventuale costituzione di entità statali etnicamente pure risulta palesemente improponibile. Ciò nonostante, la tensione di tipo etnico si presta fin troppo facilmente ad essere strumento di talune fazioni, desiderose di estendere la propria influenza.

Il conflitto etnico diviene, poi, probabile quando un solo gruppo detiene le leve del potere e se ne serve per favorire i propri interessi, a detrimento di quelli di altre componenti della popolazione nazionale. Basti ricordare, ad esempio, quello che è successo nell’ex Jugoslavia: la popolazione di origine albanese del Kosovo non ha avuto alcun riconoscimento in una visione ultra-nazionalista di una “Grande Serbia” cristiano-ortodossa. Non sempre, inoltre, i gruppi dominanti hanno avuto il consenso della maggioranza. È il caso del Sud Africa, dove per anni la pratica dell’apartheid ha escluso la popolazione nera dai diritti di cittadinanza, un esempio emblematico a tal riguardo.

Violazioni gravi e massicce dei diritti umani, accompagnate da una flagrante mancanza dello Stato nell’obbligo di difendere i propri cittadini, costituiscono ancora la causa principale di fuga di molti rifugiati; assassinii, detenzioni arbitrarie, torture e sparizioni, infatti, hanno un profondo impatto sulla popolazione ed alimentano la spirale di paura e violenza che spingerà la gente a cercare rifugio presso i paesi vicini.

Garantire il rispetto dei diritti umani, quindi, è  ancora il migliore modo per eliminare le cause che costringono i rifugiati all’esilio.


Fontehttps://flic.kr/p/xsbuqg
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Shorsh A. Surme è nato nel 1961 a Arbil, nel Kurdistan dell’Irak. Figlio di Aziz Surme, dirigente del Partito Democratico del Kurdistan negli anni Sessanta e Settanta, ha vissuto in patria il destino delle famiglie dei perseguitati politici. Diciotto anni fa si è trasferito in Italia, dove oggi lavora come giornalista per diverse testate nazionali. Prima responsabile culturale, poi, fino al 1998, presidente della Comunità curda in Italia, si è sempre impegnato per la diffusione della cultura del suo popolo in Italia ed è stato il direttore del periodico curdo «Hetaw». Fondatore dell’Associazione per i diritti del popolo curdo, è membro della Kurdish Cultural Society e della Kurdistan Translators Society.