Forse non è nemmeno vero

quel che a volte ti senti urlare in cuore:

che questa vita è,

dentro il tuo essere,

un nulla

e ciò che chiamavi la luce

è un abbaglio,

l’abbaglio supremo

dei tuoi occhi malati –

e ciò che fingevi la meta

è un sogno,

il sogno infame

della tua debolezza.

 

Forse la vita è davvero

quale la scopri nei giorni giovani:

un soffio eterno che cerca

di cielo in cielo

chissà che altezza.

 

Ma noi siamo come l’erba dei prati

che sente sopra sé passare il vento

e tutta canta nel vento

eppure non sa così crescere

da fermare quel volo supremo

né balzare su dalla terra

per annegarsi in lui.

Antonia Pozzi, Milano 1931

 

“Ma noi siamo come l’erba dei prati”.

 

“Ascoltami, i poeti laureati

si muovono soltanto fra le piante

dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi

fossi dove in pozzanghere

mezzo seccate agguantano i ragazzi

qualche sparuta anguilla…”(E. Montale, I limoni)

 

Noi siamo come l’erba dei prati, siamo quanto più di semplice esiste, e di più complesso. Ogni filo d’erba è una vita individuale, fragile, ma persistente, tenace, che si rigenera dopo ogni falciatura, ma esile nella sua natura. Ciascuno di noi è diverso e unico, ma insieme formiamo un prato. Siamo l’erba dei prati. Il nostro elevarci non è assurgere al rango di imperatori dell’universo, ma “cantare nel vento”. La realtà vera è nelle cose umili, noi siamo proprio questo: erba dei prati.

 

Fili d’erba sentiamo intorno a noi il vento e la sua canzone e tendiamo verso il cielo, verso l’infinito, desiderosi di ricongiungerci alla nostra origine.

 

Ma non sappiamo balzare su dalla terra per annegarci nel cielo, rimaniamo ancorati. L’immobilità è il nostro tormento. “Oggi sento la mia immobilità come un tormento” (Montale, Scirocco).

 

Ma al di là di ogni disillusione dentro di noi è salda l’esperienza, la scoperta provata nei “giorni giovani”, la percezione che l’altezza c’è, esiste. Forse il centro della vita è solo in questa certezza. Le impressioni provate da bambini sorreggono il nostro esile filamento. La poesia, la realtà più vera, l’essenza della nostra umanità, è creazione spontanea dei giorni giovani. “Il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso, ed è proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra mani e, trastullandosi, favellarvi come se fussero, quelle, persone vive. Gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti”(Giambattista Vico).

 

Antonia Pozzi, 1912 – 1938, tra i principali poeti del Novecento, visse a Milano e amò la montagna e Pasturo in Valsassina dove i suoi genitori avevano una casa di campagna. Non sopravvisse al clima cupo e claustrofobico del 1938 e al progressivo venir meno intorno a lei degli orizzonti di aspirazione alla giustizia e del desiderio di costruire una società più giusta, senza sopraffazione.

 

….

Coll’autunno si secca la foglia,

a oriente scorrono fossati di sangue,

vidi le braccia di migliaia di uccisi

penzolar sull’abisso

ad occidente.

 

Nubi di pianto e corolle di deliri

si toccano ai tuoi orli

o Terra.  

Antonia Pozzi, 1937, La terra

 

In fondo in quel gesto estremo, nel togliersi la vita, forse c’è ancora l’Antonia bambina che ascoltava il padre raccontare del Piave, della guerra, di sé e dei soldati.

….

Ma io ardevo del desiderio di scattare fuori,

nell’invadente sole, per raccogliere

un pugnetto di more da una siepe.

Antonia Pozzi, 1929, Sventatezza

 

Sventata Antonia. Scattare fuori, ricongiungersi al cielo, come vorremmo noi – che fili d’erba solo siamo.


4 COMMENTI

  1. “Noi siamo come l’erba nei prati…” così esile ma capace di rigenerarsi.. Splendida metafora; grazie per averla condivisa.

  2. Grazie Tina, la poesia ci gira intorno, l’erba è lo sfondo delle nostre valli e il suo colore è la musica che canta nel vento che rigenera la nostra vita.

  3. Grazie per avermi dato l’occasione di tornare a soffermarmi ancora sulla poesia, a prendermi lo spazio che allo spirito è dovuto!
    Nel tram tram quotidiano, sebbene di passione sia fatto l’impegno con gli studenti, finisco obnubilata, persino stordita a volte, dalla prosaicità della routine e per quanto da ogni cosa si sprigioni e quasi urli un’ode, ammetto di non riuscire a udirla.
    Ergo, ancora grazie!

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