Vogliono vederci un capolavoro. Non convince

È disturbante, la regia è dolosamente dispotica: non è un pregio artistico ma un difetto di comunicazione. Persino narrativamente imbarazzante: Hollywood deve prendersi cura dei diversi e dei reietti, ne ha bisogno per sciogliere il cuore di una nazione dalla costituzione guerrafondaia e dai tanti rimorsi civili.

Il tempo filmico è indifferente e spietato ad oltranza e senza limiti di causa: finisce poi per donare a noi spettatori, oramai disgustati da incongruenze visive e sceneggiaturali, a tempo debito, una umanità plastificata, finta e insostenibile: redenta di bontà sino all’ebetismo.

La vita dei protagonisti, lo è pure la nostra, è tutto un equivoco, uno spiacevole malinteso con sé stessi e con il prossimo. Il buono resta prigioniero nella corazza di carne dei mostri-esseri umani creati dalla scienza e dell’ingegno, in sostituzione di quelli originali difettosi solo perché non si riescono a controllare.

Ogni personaggio è alle prese con il destino, ora vince ora perde. L’universo rappresentato pare un campo di battaglia: il mondo fuori, dai colori pastello, dalle invenzioni futuristiche al limite del controllo registico.

Uno straordinario William Dafoe è un medico che con la sua deformità fisica e interiore rappresenta una società, senza tempo, poggiata sulla scienza e non sulla coscienza. La civiltà è popolata da esseri umani ignobili ed egoisti. Poca luce e tanta tenebra.

Emma Stone, l’America anaffettiva e compassionevole, quando vuole, tifa per il suo personaggio: grande prova attoriale mortificata da una trama precaria e frettolosa, immatura e instabile. Il suo muoversi per buona parte del film come un pinocchietto impazzito è moralmente indecoroso per un film che giustifica la propria assenza di un senso con una accozzaglia di trovate e gag comiche puerili.

Il regista Lanthimos, incapace di gestire tanta potenza di talento, Mark Ruffalo è straordinario, diventa l’incapacità del suo stesso film, il suo limite.

Due ore e più di film, non riescono a convincere che tutto l’universo può anche diventare una infinita tempesta di bellezza, per citare il filosofo Amiel.

È un circo, paghiamo il biglietto e ci rispecchiamo inconsapevolmente nei falsi umani che persistiamo ad essere nonostante millenni di torture interiori.

Vogliono vederci un capolavoro. E non mi meraviglia tanta Miopia. Al cinema occorre un’anima che abiti il corpo di storie insensate.