Controsenso: usi e abusi delle parole quotidiane
Sofocle affermava che, per scoprire la reale personalità di un individuo, occorre metterlo in posizione di potere
«Che cosa facciamo questa sera prof?».
«Quello che facciamo tutte le sere: cercare di conquistare il mondo!».
È un cartone animato abbastanza datato, nel quale un topo da laboratorio cerca ogni volta di fuggire dalla sua gabbietta per conquistare e sottomettere il mondo intero. La cosa si risolveva sempre in un pauroso fiasco! Ma il topo era sempre pronto a ricominciare, convinto di poterci riuscire prima o poi.
La domanda è: il proposito di questo animaletto malefico e maldestro è così lontano da certe dinamiche comportamentali, programmi e proclami sociali, politici e (perché no) religiosi? Non è forse un bisogno atavico dell’uomo quello di sottomettere gli altri, di comandare sul mondo, di detenere il potere? Qualunque ambito si voglia considerare, non è raro imbattersi in ciò. Tant’è che la parola potere è ormai associata ad una mondanità tutta da evitare e da combattere, cui bisogna opporre altri valori e comportamenti: solidarietà, gentilezza, disponibilità, amore per la giustizia, impegno per l’uguaglianza. Come se chi rivestisse certi ruoli di governo (giacché sono quelli più immediatamente connessi con il tema in questione) li dimenticasse automaticamente! Sofocle a tal proposito affermava che, per scoprire la reale personalità di un individuo, occorre metterlo in posizione di dominio, di governo, di potere insomma.
La cosa interessante è che ogni deriva di potere suscita a sua volta, per reazione, un altro potere: “potere al popolo”, “potere alle masse”, “potere alle donne” cosa sono se non gli slogan delle lotte reazionarie ai soprusi dei potenti di turno? C’è dunque un potere cattivo e un potere buono? In realtà di questi tempi si respira una gran confusione. In passato le situazioni avevano contorni precisi ed era più semplice riconoscere ciò che non andava, ciò a cui bisognava reagire e resistere in quanto offensivo dei diritti della persona; oggi non è più tanto scontato pensarla allo stesso modo e coltivare il medesimo sdegno quando la vita di un uomo, di una donna, di una minoranza, di una nazione sfiorano condizioni disumane…
Affonda un barcone di immigrati: beh, potevano restare a casa loro. Viene uccisa una donna: è logico, era troppo bella, sicuramente avrà avuto qualche segreto. E la lista potrebbe continuare.
Cosa c’entra questo? È semplice: è il segno che il potere predominante oggi è ideologico, incide sulle coscienze, plasma gli atteggiamenti e veicola i sentimenti. Oggi siamo chiamati a una battaglia di pensiero e di cultura. Non abbiamo particolari problemi, almeno in Occidente, circa quei diritti per i quali altri si sono battuti e hanno dato la vita, reagendo con coraggio alla violenza del potere dominante; ma dobbiamo imparare a pensare, perché la grande emergenza è riconoscere le ideologie e combatterle, a tutti i livelli e in tutti i contesti.
Un ideale diventa ideologia quando si stacca dalla carne, quando dimentica di tenere insieme le differenze e in conto le eccezioni che salvano l’ineludibile singolarità di ciascuno, quando diventa fine e smette di essere il mezzo per l’unica finalità di ogni azione che compete ad un potere: portare l’uomo a diventare sempre più pienamente uomo.
Ma non si tratta solo di politica; l’ideologia è un rischio cui ogni buon credo è sottoposto. C’è, ad esempio, un modo preoccupante di approcciarsi ai valori della cristianità e di diffonderli. Si ostenta sicurezza assoluta, ci si impone sempre dall’alto con parole altisonanti, come se di fronte si avessero scolaretti ignoranti da ammaestrare e ammaliare, e anche lì dove si dice di reagire al vecchiume e ai moralismi con la freschezza di nuovi metodi e nuove proposte, si scade spesso in una sorta di propaganda, irruente e inopportuna tanto quanto quello che si vorrebbe contrastare. A tal proposito occorre chiedersi: è davvero necessario postare sui social ogni cosa e posa, ogni momento e pensiero della propria vita privata (dagli stati influenzali alle dipartite dei propri cari, con visite al cimitero connesse)? Quegli stessi social usati per diffondere un’iniziativa stupenda come la raccolta alimentare per i poveri e, parallelamente, condannare a priori e con sottile ironia chi lo scorso fine settimana ha approfittato degli sconti eccezionali del black Friday per fare acquisti e, magari, non ha considerato che “la misericordia di Dio è gratis sempre” (circolava una frase del genere), o non ha aiutato i bisognosi…forse. Perché può anche darsi che li abbia aiutati, ma abbia dimenticato di postarsi mentre lo faceva! Che poi se la critica è scritta utilizzando un i-phone di ultima generazione, quanto è lecito sbeffeggiare chi si concede un’ora di svago in un centro commerciale, per acquistare cose magari inaccessibili senza sconti?
Un altro esempio: quando si parla dell’amore, non è raro sentir dire che “l’amore non è un sentimento, è Dio e va messo al primo posto”. Ora è bene spronare a non vivere una relazione d’amore con sentimentalismo smielato privo di concretezza e di scelte autentiche; ma è proprio necessario farlo a discapito della cosa più bella della vita di un essere umano, insinuando dubbi e senso di inadeguatezza? Non è l’amore in quanto tale fatto di gesti ma anche di emozioni e sensazioni epidermiche indimenticabili? Non può essere questo linguaggio umano un mezzo per spiegare l’amore di Dio? Un Dio che è, tra l’altro, relazione tra Persone e che in Gesù di Nazareth ha sperimentato l’immensa dolcezza dell’amore amicale e della buona compagnia.
Questi esempi, forse intricati, dimostrano come alcuni modi di fare possono trasformarsi facilmente in avamposti ideologici, capaci di esercitare un potere ben più pericoloso delle “incoerenze dei preti e dei cristiani” alle quali siamo molto più attenti e dediti: l’incoerenza suscita sdegno e desiderio di fare la differenza, l’ideologia conquista, affascina, ammalia, fa sentire protetti nei contenitori vuoti che propina. Il suo potere è questo: offrire rifugi comodi e limitare il pensiero, la critica, l’apertura.
insomma se alla proposta di valori positivi quali l’intimità con il Signore, la condivisione, la diffusione della bellezza, l’attenzione alle povertà, la condanna del consumismo deve corrispondere un sottile disprezzo per chi non è della “cerchia”, qualcosa non va. Se il prezzo da pagare per diffondere un ideale dev’essere la condanna esasperata del diverso e dell’umano, con annesso giudizio privo di discernimento particolare, più di qualcosa non va.
La risposta arriva dalla solennità appena celebrata di Cristo Re. La parola chiave è abdicazione, perché il vero potere è abdicare: alle parole inutili, al fascino dell’apologetica, alla convinzione di dover sempre insegnare e mai imparare da ciascun volto che incrociamo, alla presunzione di trascinare gli uomini a Dio proponendo un’ascesi che demonizza le cose più belle e quotidiane della vita di ciascuno, che continua a incitare ad una relazione con Dio parallela alle altre relazioni, a un primato fatto di mortificazione senza offerta e senza amore. Questa è stata la regalità di Cristo: abdicare, abdicare all’imposizione e alla difesa, riconciliando l’uomo e Dio. E questo è il suo potere: farci sentire amati, semplicemente amati, non “anche se siamo umani”, ma “proprio perché siamo umani”.
Solo quando il cristiano avrà imparato questa lezione, potrà ergersi contro i potenti di turno e i loro soprusi.
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